USA, 2013
Regia:
James DeMonaco
Cast: Ethan
Hawke, Lena Headey, Rhys Wakefield, Edwin Hodge, Max Burkholder
Sceneggiatura: James DeMonaco
Trama (im)modesta – Stati Uniti, 2022 A.D. La criminalità è
scomparsa, la disoccupazione non esiste, l’ordine è mantenuto. I Nuovi Padri
Fondatori sono riusciti a salvare le sorti di un paese in rovina con lo Sfogo
Annuale: una notte in cui, dalle sette di sera alle sette del mattino, ogni
crimine diventa legale e ospedali, polizia e vigili del fuoco staccano i
telefoni. James Sandin si è arricchito a dismisura vendendo sistemi di
sicurezza proprio per coloro che scelgono di non uscire armati per la strada a
massacrare indigenti, minoranze etniche o semplici passanti. Le alte cariche
dello stato, naturalmente, sono esenti dallo Sfogo né le si può impunemente
uccidere. Tutto sembra andare per il meglio quando Charlie, figlio di James,
disattiva le difese della casa per far entrare un estraneo inseguito da un
gruppo di “bravi ragazzi” mascherati che lo vogliono fare a pezzi. Quando i
ragazzi busseranno alla porta minacciando di morte e altre atrocità i
Sandin se non avranno indietro la loro
vittima, la notte diventerà un vero incubo.
La mia (im)modesta opinione – La Notte del Giudizio (o The Purge che dir si voglia) riesce,
senza essere un film speciale, a essere un film geniale, acidissimo verso la
cultura americana e la natura umana, divertente a suo modo nel riuscire a
prendere gli stilemi dell’home invasion movie e rielaborarli per narrare
qualcosa di più profondo sulla natura umana, più o meno inconsapevolmente
assetata di sangue, gonfia d’invidia, capace di ogni male al solo concedersi
d’un’occasione. Certo, va detto, l’andamento del film è alquanto schematico e i
temi praticamente si approfondiscono da soli, senza che il regista/autore
DeMonaco si sforzi troppo di variegare psicologie e situazioni.
Certo fa un certo effetto vedere, considerati i tempi, una
classe abbiente che pare uscita fuori da una pubblicità di detersivi (bianca,
bionda, sorridente) girovagare per le strade e massacrare poveri e minoranze
etniche. La dice lunghissima, questo film, sui metodi che moltissimi,
esasperati dai troppi maneggi della politica, dichiarano di voler usare contro
quelle falde di società che costituiscono un disturbo. In prima persona potrei
portare l’esempio dell’insofferenza che, nel Sud in cui sono nato, si prova
verso esodati ed extracomunitari, di come si fantastica di sparare contro i
barconi o di confinare i sediziosi da qualche parte dove non possano arrecare
disturbo. Ebbene, che succederebbe se queste fantasie potessero diventare
realtà?
I killer di The Purge sono ragazzi vestiti secondo in gusto
della upper class, quella che manda i figli a Princeton o Yale, quella che
abita i caseggiati altoborghesi dove non si può entrare senza invito, quella
che evade le tasse, sostiene la guerra, lucra sui morti. La stessa upper class
a cui non importa di cambiare il proprio paese, anzi vuole mantenere quello
status quo forse ingiusto ma che gli ha permesso di ingrossare di tanto il
proprio conto in banca. E gli stessi protagonisti del film, sebbene siano
obiettori di coscienza (se così li si può dire), sostengono fermamente lo Sfogo
Annuale, lo considerano la base di ferocia su cui costruire sempre più grandi
imperi. Ma esagerano nel buonismo, e questo lo si vede alla fine del film,
quando vengono minacciati dai falsi amici che di loro sono invidiosi.
Perfido è poi, non tanto il finale, ma il pre-finale.
Vediamo, dopo il vario grand-guignol della nottata, l’uomo da cui tutto è
cominciato e grazie a cui tutti si sono salvati mandato via con un sospirato
“grazie”, senza altre manifestazioni di affetto e gratitudine. La società è
salva ancora una volta: la distanza sociale è mantenuta, la gerarchia resiste
ancora e per sempre. Eppure gli stessi protagonisti del film non fanno parte di
quella gerarchia: sono gli arrivati, quelli venuti dal nulla che hanno
accumulato il loro mucchio di ricchezza ed è sospeso fra le spinte opposte
dell’uniformazione a una classe senza valori ma che è la più alta e la
rispettosa distanza, che però isola quanto riaggiusta prospettive e approcci
specialmente nei rapporti umani.
La violenza, poi, valore sempre più imborghesitosi e
penetrato a tutti i livelli nella nostra società trova perfetta espressione nel
viso sbilenco e stranamente bellissimo di Rhys Wakefield, assassino senza nome,
sorridente biondo ragazzo assetato di stragi e vendetta. Uno che non sopporta
la scortesia (spara a un suo amico a sangue freddo solo per delle parole troppo
brusche) ma non ha problemi a intraprendere un tentativo di stupro o a mettere
sottosopra una casa, per il solo gusto di farlo. L’occasione fa l’uomo ladro,
dicono, e in The Purge lo fa anche assassino. Fino a dove si spingerebbe una
nazione nell’indottrinamento, nel plagio psicologico, nella coercizione per
ottenere l’1% di disoccupazione e la scomparsa totale di crimini violenti per
364 giorni l’anno?
Il film di De Monaco è scolastico nelle riprese ma sapido, denso
ma non molto originale. Una formidabile opera prima, non certo un capolavoro,
ma un thriller insieme distopico, pieno di suspance e situazioni delle più
interessanti. Tutto grazie agli ottimi attori protagonisti: in testa a tutti sta
il già citato Rhys Wakefield, col suo psicotico sorriso; poi Ethan Hawke,
bravissimo anche lui (sebbene non la sceneggiatura si sforzi troppo di
caratterizzarlo, certo) mentre appare più intensa nel suo sofferto pacifismo la
Mary Sandin di Lena Headey, che però replica lo stesso repertorio espressivo di
cui ci ha già fatto bella mostra in Game of Thrones.
La Notte del Giudizio, in sostanza, è uno dei film
dell’estate, un minuscolo cult del genere home invasion, una distopia W.A.S.P.
che sarà certo stata scomoda alla classe abbiente americana, dipinta da
DeMonaco come crudelissima e violenta verso i più poveri, disposta a inondare
di sangue le strade della propria città e a chiamare diritto l’eccidio. Non mi
sento però di giudicare troppo severamente il suo attaccamento alle strutture
più usate del thriller che, in questo e in molti altri casi, funzionano
egregiamente, senza certo poi creare quella grandissima tensione che altri film
del genere sanno creare.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Ovviamente citiamo Panic
Room (2002) di David Fincher, lo sconvolgente horror francese À l'intérieur
(2007) di Alexandre Bustillo e Julien Maury e il sommo classico Cane di paglia
(1971) di Sam Peckinpah. Abbiamo poi il Funny Games U.S. (2007) di Michael Haneke,
il piccolo gioiello Mother's Day (2010) di Darren Lynn Bousman,
l’inquietantissimo Bed Time (2011) di Jaume Balagueró e il sulfureo You're Next
(2011) di Adam Wingard.
Scena cult – La “tavolata” finale con sfondamento craniale
all’urlo di «No more killings!»
Canzone cult – Non pervenuta.
Niente male come film, l'idea distopica poi è proprio il meglio che si possa desiderare, mi è dispiaciuto che non hanno inserito qualche scena splatter.
RispondiEliminaBe' una scena di orrenda tortura in più non fa mai male. Io, invece, avrei voluto vedere qualche scena di follia collettiva, giusto per rinforzare l'idea che il film accenna e basta.
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