USA, 2012
Regia:
Scott Derrickson
Cast: Ethan
Hawke, , Juliet Rylance, Fred Dalton Thompson, James Ransone, Clare Foley
Sceneggiatura: Scott Derrickson, C. Robert Cargill
Trama (im)modesta – Ellison Oswalt è uno scrittore in declino.
Il suo ultimo best-seller sui sanguinosi fatti di una famiglia del Kentucky si
allontana di anno in anno, le bollette da pagare si accumulano, la famiglia lo
stringe da un lato, la consumante vanità dall’altro. Senza dirlo alla moglie,
Ellison fa trasferire la famiglia in una spaziosa casa dove, anni prima,
un’intera famiglia (meno la figlia minore, scomparsa) era stata trovata
impiccata all’albero del giardino. In soffitta, Ellison trova misteriose
pellicole in Super 8. Filmini di famiglia che si concludono in sanguinosi
omicidi. Chi è l’assassino? Ma Ellison, ispirazione artistica o rifiuto della
decadenza che sia, decide di rischiare tutto, anche la sanità mentale, per
scrivere il suo libro.
La mia (im)modesta opinione – Quando riuscirete a vedere un
horror davvero rivoluzionario, fatemi uno squillo. Per ora ci si accontenti di
Sinister, film partorito dalla mente di quello stesso Derrickson che, anni fa,
aveva firmato il buono ma incompleto The Exorcism of Emily Rose. Come nel primo film, così in
Sinister, pregi e difetti sono i medesimi. Buona conoscenza dei meccanismi
basici dell’orrore al cinema, stile registico saldo e risoluto, grande
fertilità di spunti (usati spesso solo a metà) ma un certo grigiore che non fa
davvero apprezzare la vicenda come si dovrebbe. Del resto Sinister è un buon
horror, non un assoluto colpo di genio né una chicca troppo imperdibile,
sebbene caldamente consigliata.
Non mancano i classici colpi bassi e i trucchetti frusti:
accelerate di violini spaventosi e rumori sinistri si sprecano. Ma il film
diventa davvero spettacolare quando il piccolo proiettore s’accende e ci
vediamo davanti gli “omicidi in diretta” registrati sulla pellicola Super 8. E
diventa qui interessante lo spunto sul rapporto fra cinema e spettatore, fra
immagine che veicola violenza e mente suggestionabile che la porta a segno
nella realtà, fra trasmigrazione realtà/finzione e persecuzione. Come nel
notevolissimo Insidious, la possessione spettrale non riguarda un edificio ma
un gruppo di persone. Il male viene dagli insospettabili, dagli ignorati, da
chi altrimenti non saprebbe difendersi.
I risvolti della storia, però, scivolano vagamente nel
kitsch. Una maggiore sobrietà d’immaginazione sarebbe stata gradita. Ma, per
nostra fortuna, non si scade mai nella baracconata vera e propria. Il
protagonista del film, un Ethan Hawke che gli anni hanno reso migliore e
profondo, è un personaggio davvero interessante con quel suo bisogno di
sacrificare tutto alla propria arte e al proprio ego, in perenne ricerca del
fantasma del successo passato. Ma a lui ci si affeziona, dopo tutto, e questo
non fa che migliorare il nostro coinvolgimento nel film. Quanto al reparto
artistico, nulla da dire. Con più lode che infamia, ma non per questo meno
anonimo, sebbene alquanto elegante. Ottimo horror estivo, in conclusione, se
amate le storie di fantasmi ben fatte e i brividi facili.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Chiaramente consigliamo The Exorcism of Emily Rose (2005) di Scott Derrickson, l’Insidious (2010) di
James Wan, il buono ma ben più facile The Poughkeepsie Tapes (2007) di John
Erick Dowdle e l’ottimo horror estivo The Skeleton Key (2005) di Iain Softley.
Sul versante dell'horror asiatico, che non possiamo semplicemente ignorare, abbiamo il Two Sisters (2003) di Kim
Jee-Woon, Shutter (2004) di Banjong Pisanthanakun e Parkpoom Wongpoom e Kairo
(2001) di Kiyoshi Kurosawa.
Scena cult – I filmati in Super 8. Inquietanti come poche
cose al mondo.
Canzone cult – Non pervenuta.
sarà che l'avevo visto prima dell'estate, ma m'è sembrato persino inferiore rispetto agli horrorini medi che ci sono in giro...
RispondiEliminaNon è Insidious, certo, ma alla fine il brivido facile piace. Personalmente l'ho apprezzato, certo l'intero motore della trama (ossia il demone babilonese) m'è parso una pacchianata, potevano risolverla con una bella maledizione. Ma alla fin fine, sai com'è, che cosa non perdonerei a una bella storia di fantasmi.
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