giovedì 6 settembre 2012

PATRIK, AGE 1.5 (2008), Ella Lemhagen


Svezia, 2008
Regia: Ella Lemhagen
Cast: Gustaf Skarsgård, Tom Ljungman, Torkel Petersson, Annika Hallin, Amanda Davin
Sceneggiatura: Ella Lemhagen


Trama (im)modesta – Goran e Sven sono una coppia omosessuale recentemente trasferitasi in un educato quartiere alto-borghese. I due sognano ardentemente di avere un figlio e sono quasi arrivati alla fine del lungo iter burocratico che gli permetterà di avere un bambino. Dopo un’iniziale delusione, gli viene proposto l’affidamento di Patrik ma, a causa di un errore di battitura, la coppia è convinta di aver adottato un bambino di un anno e mezzo. Si capisce allora il loro sbigottimento quando, alla loro porta, si presenta un quindicenne turbolento dal passato criminale. Se Sven è irritato dai trascorsi del ragazzo e dai suoi atteggiamenti da piccolo criminale, Goran lo prende in simpatia, scoprendo i traumi della vita del giovane Patrik.


La mia (im)modesta opinione – I buoni sentimenti li prendo soltanto in salsa nordica. Solo il cinema del Nord Europa, infatti, è capace di regalarmi ritratti positivi e calorosi dei sentimenti d’affetto e d’amore – sentimenti che, grazie al cielo, non condisce mai con scocciante buonismo o ricatti morali ma sa rendere solo più saporosi con il gusto di una positività se non consolatoria (che è un brutto termine), almeno rassicurante. Al mondo non c’è solo bruttura, insomma, e reintegrare positivamente un disadattato nella società (una società moderna, beninteso, simboleggiata da una coppia omosessuale che ancora patisce i colpi di coda di un’omofobia solo larvata) è possibile e non vuole per forza dire incasellarlo dentro un quadro di monotonia borghese ma dargli amore e calore umano dove altri hanno preferito istituzionalizzare, comprendere invece di maledire, ascoltare i sensi dietro le parole di un ragazzo invece di spaventarsene.


Il fulcro della vicenda, si capisce, è costituito da Patrik, impersonato alla perfezione dal giovane Tom Ljungman, un ragazzo regolare, le cui provocazioni sono più una difesa che un attacco e che, per tutta la durata della pellicola, viene tacciato di crimini che si urlano terribili ma che paiono poco rilevanti. Il personaggio di Patrik è uno di quei personaggi che si vorrebbe abbracciare, non lasciare da solo, tanto è il suo desiderio di essere accudito, protetto. E di questo si accorgerà anche Goran, incarnato anche lui dal bravissimo Gustaf Skarsgård (fratello di quell’Alexander Skarsgård che popola i nostri teleschermi sotto il nome di Erik Northman, il vampiro vichingo di True Blood), che capirà che il suo desiderio di paternità può anche risolversi nel voler bene a un individuo già fatto e finito e non per forza a un paffuto neonato cresciuto per vanità che per amore. Sinceramente antipatico è il personaggio di Sven, inutilmente terrorizzato da Patrik e dai suoi trascorsi, risoluto nell’odiarlo fino alla crudeltà gratuita, non del tutto salvato nella sua redenzione finale


Un punto essenziale che mi pare che il film abbia scoperto è quello del motivo delle adozioni. All’inizio, per Goran e Sven, l’avere un bambino da coccolare è un capriccio infantile: desiderano un neonato da spupazzarsi perché vedono altre madri farlo. Anche loro vogliono essere orgogliosi di portare un bambino fra le braccia, anche loro vogliono portarlo a spasso in un passeggino, anche loro vogliono una belle culla e una stanzetta deliziosa. Quando Patrik si presenterà alla porta, però, tutta la loro meschinità viene alla luce: loro volevano adottare un figlio ma non quel figlio. Loro volevano un altro figlio, magari piccolo e carino, magari senza problemi alle spalle. Solo Goran si salverà dalla taccia di cattiveria quando capirà cosa vuol dire voler bene a un figlio, mentre Sven preferirà indire una crociata inutile in nome di un bambinello sciocco, in nome dell’idea di un cucciolo d’uomo da coccolare.


Patrik, Age 1.5 è un gran bel film, uno di quei film che fanno voler bene al mondo e ci fanno capire che, in fondo, non si tratta solo di giocare a scacchi con la vita e con gli altri ma che anche riversare il proprio affetto su qualcuno che ne ha bisogno, curarne le ferite e fare del bene può essere qualcosa di bellissimo. Buonismo? Forse, ma vedete questo film e andrete tutti orgogliosi di essere buonisti. Ricatti morali? Nessuno. Solo sentimenti che, se non sono buoni, sono almeno belli e che farebbe bene vedere ogni tanto sullo schermo. Lo ripeto, è solo il cinema nord-europeo che riesce a creare gemme come questa, che trattano le dinamiche familiari e affettive con sensibilità fresca, solare e nuova senza mai strafare, senza mai indottrinare o abbindolare. Mi inchino, dunque, e chiudo con le parole del grande Renoir a commentare questo film. «Per me, un dipinto deve essere una cosa amabile, allegra e bella, sì, bella. Ci sono già abbastanza cose noiose nella vita senza che ci si metta a fabbricarne altre. So bene che è difficile far ammettere che un dipinto possa appartenere alla grandissima pittura pur rimanendo allegro. La gente che ride non viene mai presa sul serio».


Se ti è piaciuto guarda anche... – Fra i film nordici dai buoni sentimenti (ma con intelligenza) presenti nella mia rassegna, figurano Dreng (2011) di Peter Gantzler, Evil (2003) di Mikael Håfström sempre con Gustaf Skarsgård, lo stupendo Les Géants (2011) di Bouli Lanners  e il delicato North Sea, Texas (2011) di Bavo Defurne. Tematica umanistica, ma condita con più lirismo, la si avverte anche nel rutilante Detachment (2011) di Tony Kaye. Simile a Patrik, Age 1.5 è anche il Transamerica (2005) di Duncan Tucker, come anche l’iconico Léon (1994) di Luc Besson.


Scena cult – Patrik che scruta verso la telecamera nella sua stanza. Gli sguardi profondi m’hanno sempre colpito.

Canzone cult – In mezzo a tutta la paccottiglia country che gli stessi protagonisti del film dichiarano di odiare (sic!) si segnala solo la triste ballata Love Me Like You Used To Do di Tanya Tucker.

2 commenti:

  1. Risposte
    1. Hai detto bene! Proprio un bel film. Ma non aspettarti nulla di troppo impegnato: è una cosa molto leggera. Bella ma leggera.

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