Regno Unito, Francia, 2005
Regia: Guy Ritchie
Cast: Jason
Statham, Ray Liotta, André Benjamin, Vincent Pastore, Mark Strong
Sceneggiatura: Guy Ritchie, Luc Besson
Trama (im)modesta – Jake Green è appena uscito di prigione,
dopo essere stato incastrato dal boss Dorothy Macha, con cui lavorava grazie
alle sue incredibili doti nel campo della truffa e del gioco d’azzardo. Appena
Jake riacquista la libertà scopre che gli scagnozzi di Macha sono sulle sue
tracce e che gli restano pochi giorni da vivere per colpa di una misteriosa
infezione del sangue. A questo punto viene contattato da due criminali, Zach e
Avi, che gli propongono un misterioso affare: protezione completa in cambio di
totale ubbidienza e di tutti quanti i suoi soldi. Jake accetta con riluttanza,
salvo per poi scoprire di far parte di una colossale truffa che coinvolge
Macha, il signore della droga Lord John e un onnipotente quanto oscuro padrino,
Sam Gold, che nessuno ha mai visto in faccia...
La mia (im)modesta opinione – Descrivere il contenuto del
film di Guy Ritchie è cosa quantomai complicata. Non a caso, infatti, una delle
critiche principali mossa agli autori è stata quella di aver ultracomplicato la
trama inserendo doppi, tripli e quadrupli giochi in una struttura di scatole
cinesi. Una sorta di mise en abîme di inganni e manipolazioni che sfociano e
s’intrecciano l’uno nell’altro senza una vera e propria soluzione di
continuità. Ed è proprio la grande difficoltà di una trama volutamente contorta
e raggomitolata su se stessa che da un lato santifica il film, dall’altro lo
crocifigge. Ebbene sì, proprio perché non si può negare che Revolver sia uno
dei film più brillanti (sia narrativamente che cinematograficamente) che vi
capiterà mai di vedere ma nemmeno può essere negato che è uno dei più difficili
e cervellotici.
Ovviamente, checché ne dica la critica di consumo, Revolver
è una pellicola esaltante, geniale che prende avvio da un intrigo criminale per
poi sfociare, nei suoi punti più alti, in uno scioccante dramma morale che pone
taglienti interrogativi sulla natura della volontà, dell’identità (vista come
emanazione del volere), del libero arbitrio e, in definitiva, della stessa
natura umana. I due protagonisti principali, il truffatore Jake e il boss
Macha, sono individui radicalmente diversi ma che, sebbene in maniere opposte,
basano la loro esistenza su salde certezze: la propria analitica intelligenza
per Jake, il proprio potere per Macha. Entrambi credono di dominare il gioco ma
non sono che pedine mosse da un’intelligenza profonda e oscura che tira le fila
di tutta la macchinosissima trama, seguendo le basilari e versatili leggi del
potere. So di sembrare un poco incomprensibile ma, per capire veramente
Revolver, bisognerebbe averlo guardato almeno tre o quattro volte.
Guy Ritchie si prende molto sul serio e, dato che tutta la
trama finisce per risolversi in una novella sulla condizione umana, infarcisce
la storia di riferimenti e simbolismi cabalistici: così vediamo l’ideale
Trinità composta da Jake, Avi e Zach che già nei nomi corrisponde alla triade
cabalistica di Giacobbe/Jake, Abramo/Avi e Zach/Isacco che rappresentano
inoltre il principio unificante del tutto, rappresentato dal colore verde (e
appunto Jake fa di cognome “Green”), il principio femminile, legato al colore
nero (Avi infatti è un uomo di colore dai tratti femminili, per esempio la cura
estrema nel vestire), e al principio maschile, associato al colore bianco
(ovvero Zach, un uomo grande e grosso che veste secondo il cliché dell’uomo
virile). Ricorre continuamente, inoltre, il numero 32, cifra mistica nelle
tradizioni della cabala, che fa riferimento alle proporzioni del Tempio di
Salomone.
Al di là dei sottesi filosofici e simbolici, Revolver è
anche un film titanico sotto gli aspetti della mera cinematografia. A partire
dalle spettacolari interpretazioni (sia Statham che Ray Liotta sono qui al loro
meglio) non solo dei protagonisti ma anche degli eccellenti e stralunatissimi comprimari, passando per la fotografia mozzafiato, fino ad arrivare alla perfetta
regia di Guy Ritchie che, sempre forte del suo senso del ritmo, mette in scena
personaggi e sequenze di puro culto, al suono di musiche ora lente ora
frenetiche e con angoli di ripresa inusitati e bizzarri e sequenze animate glorificate dal
chirurgico montaggio e dalla messa in scena curatissima. Dunque, Revolver è uno
degli sconosciuti illustri che non molti ricordano ma che merita grandemente
più che una visione, un’ammirata esegesi.
Se ti è piaciuto guarda anche... – I fratelli di Revolver,
ovviamente, che sono Lock, Stock and Two Smoking Barrels (1998) e Snatch (2000)
entrambi di Guy Ritchie. Per altri drammi criminali abbiamo lo stupendo Brother
(2000) di Takeshi Kitano e i superclassici Hard Boiled (1992) e The Killer
(1989) del grande John Woo. A seguire viene l’adrenalinico Shoot ‘em Up (2007)
di Michael Davis, l’iconico Léon (1994) di Luc Besson, la gemma Lucky Number
Slevin (2006) di Paul McGuigan e il classico Casinò (1995) di Martin Scorsese.
Scena cult – La scena dell’ascensore. Una delle sequenze allucinatorie
migliori che mi sia capitato di vedere da anni.
Canzone cult – La sonata Quasi una fantasia di Beethoven e
la Mucchio Selvaggio di Ennio Morricone, remixata dal duo 2raumwohnung.
Trovo Ritchie notevolmente migliorato nel corso degli anni...
RispondiEliminaUn'escalation veramente invidiabile !
Be', diciamo che Ritchie ha un grande talento per allacciare insieme immagini e suoni. Il che è essenziale perchè i suoi film sono lezioni di montaggio. Ma nemmeno lui è esente da scivolate.
EliminaT'e' mancato proprio il materiale sintattico qui, vero?
RispondiEliminaCos'e' questa,una recensione?Un'analisi?
Cos'e' questo film? Un'arraffazzonata ottima idea malfatta?Un guazzabuglio frutto di ripensamenti?
Complessita' presunta in caoticita' videoclippara rallentata?
Puro effetto senza sostanza.
Il mio gusto apprezza la forma sopra la sostanza. Le cadute mi pare di averle denunciate tutte. Anche i pregi, se è per questo.
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