venerdì 21 settembre 2012

DEAR MR. GACY (2010), Svetozar Ristovski


USA, 2010
Regia: Svetozar Ristovski
Cast: Jesse Moss, William Forsythe, Emma Lahana, Andrew Airlie
Sceneggiatura: Kellie Madison


Trama (im)modesta – Jason ha diciott’anni e studia legge. Dovendo consegnare un saggio sui disturbi della psiche e affascinato dal feroce serial killer John Gacy, Jason inizia con lui una corrispondenza fatta di lettere vere e proprie e frequenti telefonate. Per far maggiormente aprire a sé l’assassino, Jason dipinge se stesso come una potenziale vittima: un ragazzo solitario, ingenuo e sognante. Così facendo Jason seduce Gacy da lontano ma la vicinanza dell’assassino comincia a far scricchiolare tutti i rapporti affettivi del ragazzo e, infine, lo conduce a fronteggiare l’inferno della perversione di uno dei peggiori serial killer del mondo. Ed entrare nella mente di un follo può essere più pericoloso di quanto non si creda.


La mia (im)modesta – Jason Moss, personaggio realmente esistito e fedelmente riprodotto all’interno della pellicola, si suicidò il sei luglio del duemila sei: era un brillante studente di legge, uno scrittore affermato (il suo libro The Last Victim aveva portato agli onori della cronaca i suoi rapporti con numerosi serial killer che era riuscito tutti a sedurre proponendosi come potenziale vittima di ogni assassino con cui sia entrato in comunicazione. Inutile dire che il suo subdolo ma innovativo approccio ha guadagnato notevole visibilità all’interno del dibattito psichiatrico. Ci sono malelingue che dicono che il suicidio di Moss sia dovuto in parte a questa sua attitudine predatoria; che aveva finito per trascinarselo dietro. Aprire una finestra sul baratro della follia di personaggi come Richard Ramirez, Henry Lee Lucas, Jeffrey Dahamer  e, sopra tutti gli altri, John Wayne Gacy non può che causare notevoli vertigini.


Dear Mr. Gacy è un film che parte in sordina: il climax di tensione è incredibilmente crescente, invisibile per tutto il film. La pellicola prende avvio con una situazione affascinante ma girata con poca grazia registica, ma la storia prosegue e man mano che Jason prosegue nella sua discesa nelle contorte grotte della mente di Gacy la tensione diventa sempre più palpabile. Prima pare tensione da due soldi, da filmetto miserabile e spettacoloso; poi, lo sboccio con la scena della prigione: quindici minuti da affondare le unghie sul tavolo. Dialoghi serranti, interpretazioni arroventate, fotografia smorta e crudele. E questo non sarebbe stato possibile senza la bella sceneggiatura di Kellie Madison che con qualche semplificazione e piroetta di troppo riesce a delineare un crescendo rossiniano di disagio e timore, fino al risolutivo finale.


Interessantissima è la relazione che Gacy e Moss stringono. All’inizio si trattava di uno scaltro ragazzo che tentava di sedurre un vecchio satiro; alla fine vediamo una relazione di odiamore, una sorta di anti-storia d’amore in cui due menti pericolosamente instabili cominciano un selvaggio paso doble in cui non si è capaci di fermarsi. Gacy tratta Jason con il calore di un innamorato ma poi lo bersaglia di una ferocia diabolica; Jason sperimenta il traballare della propria personalità ma finisce per considerare Gacy una priorità, un idolo da servire, un amante da soddisfare. Questa relazione pseudo-amorosa è ben sottolineata dal regista, e con sottigliezza. Le litigate fra il ragazzo e il serial killer paiono bisticci fra fidanzati conditi con una passione ben più cruenta e dolori più occulti e brucianti. Alla fine pare addirittura che quella di Gacy sia una maniera come un’altra (in questo caso molto più violenta) di elaborare il proprio affetto: dominando, cercando l’ebbrezza che proviene dal terrore di chi ci sta di fronte.


Il John Gacy di William Forshythe è un villain da antologia. Diabolico quasi quanto il ben più famoso Dottor Lecter di Anthony Hopkins; capace di far emergere dal suo sguardo la cupidigia di uno squalo che gira intorno alla preda, la furia di un leone che addenta la preda. Vedendo il film dal punto di vista di Jason Moss, si ha come che John Gacy passi, attraverso la durata del film, da semplice eminenza della cronaca nera ad archetipo dell’arcidiavolo, compiuto trionfo del Male in terra. La recitazione di Forsythe è sublime, sebbene dia a John Gacy quell’accento di mafiosa sprezzatura che è chiaro non possedesse e il fascino d’una freddezza pericolosa quanto maliosa, e gustosamente romanzesca: l’archetipo, come dicevo, è quello dello psicopatico dai modi sublimi e feroci insieme.


Bella prova quella di Jess Moss; un po’ troppo sopra le righe, forse, un po’ enfatica, colorita e pregiudicata da evoluzioni del personaggio che sarebbero state migliori se maggiormente moderate.  Quello di Jason Moss è un personaggio interessantissimo, originale come pochi: un ragazzo dalla mente singolarmente penetrante che è stato capace di arrivare dove la psichiatria criminale del proprio tempo non era arrivata e che ha finito per svegliare un cane di troppo, che dormiva, forse sognava... Jess Moss forse non era all’altezza del suo personaggio ma fa un bel lavoro in ogni caso; capace almeno di trasmettere la tensione mentale che attraversa la mente del personaggio che interpreta. Cosa più inquietante di tutte, naturalmente, è la veridicità di questa storia, il suo essere davvero esistita e avvenuta. E aver portato ai risultati a cui ha portato. Jason Moss stesso definì se stesso l’ultima vittima di John Gacy, dopo essere stato sconvolto durante l’unico incontro in carne e ossa che si ebbe fra i due.


Dear Mr. Gacy, dunque, è un ottimo thriller indipendente; assai efficace, forte nelle sue rappresentazioni; sebbene difettoso nella sua parte puramente più visiva, in cui si denunciano due o tre balbuzie di stile che avrebbero fatto meglio a non esserci. La sottigliezza nascosta della pellicola, la profondità che riescono a dargli interpretazioni appassionate, script banrillante e regia tutto sommato solida e sicura riabilitano questa pellicola e arrivano a renderla una visione che riterrei addirittura imprescindibile per chi ama il genere: una chicca così, infatti, potrebbe benissimo essere Il Silenzio degli Innocenti della storia minore del cinema, il Manhunter del cinema indipendente, il Seven del cinema impopolare (impopolare nell’accezione più lata: im-popolare, cioè non popolare, non famoso, non plebeo).


Se ti è piaciuto guarda anche... – Naturalmente non può mancare la tripletta Il silenzio degli innocenti (1991) di Jonathan Demme, Manhunter (1986) di Michael Mann e il meraviglioso Seven (1995) di David Fincher. Altri importanti titoli sono Monster (2003) di Patty Jenkins, Summer of Sam (1999) di Spike Lee, lo spettacolare The Cell (2000) di Tarsem Singh, Insomnia (2002) di Christopher Nolan. Fra i consigli personali abbiamo l’imperfetto ma denso denso Mr. Brooks (2007) di Bruce A. Evans, l’ormai classico Schegge di Paura (1996) di Gregory Hoblit, The Ugly (1997) di Scott Reynolds e Cold Light of Day (1989) di Fhiona-Louise, film sul serial killer Dennis Nilsen.


Scena cult – L’incontro fra Gacy e Jason. Il terrore è palpabile.

Canzone cult – Non pervenuta. 

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