venerdì 18 maggio 2012

CONTROL (2007), Anton Corbijn


Regno Unito, USA, 2007
Regia: Anton Corbijn
Cast: Sam Riley, Samantha Morton, Alexandra Maria Lara, Toby Kebbell
Sceneggiatura: Matt Greenhalgh, Deborah Curtis


Trama (im)modesta – Ian Curtis (un ideale Sam Riley) è un inquieto ragazzo profondamente affascinato dalle musiche di David Bowie e dei Sex Pistols. Ragazzo delicato con un animo da poeta, Ian fonda insieme ai suoi amici il gruppo che sarà poi noto e celebre con il nome di Joy Division. Ispirandosi alle vicende della propria, problematica vita Ian scrive le sue canzoni ma non riuscirà mai a risolvere i suoi problemi con la moglie (Samantha Morton), afflitto anche dal senso di colpa derivante dal tradimento. Ossessionato dai suoi problemi, dalla colpa, dall’epilessia e dal suo essere fedifrago, Ian si suiciderà all’età di 23 anni.


La mia (im)modesta opinione – I biopic a sfondo musicale hanno spesso successo e si rivelano quasi sempre ottimi film. Il perché è presto detto: si basano su personaggi interessanti e drammatici, quegli stessi personaggi fanno pure parte del nostro sostrato culturale, le vicende narrate sono spesso estreme o comunque coinvolgenti e lo stile della narrazione è sempre spinto verso i livelli più alti. Control è, allora, un campione purosangue del genere: racconta la vita di una icona enigmatica ed elusiva, è diretto da un famoso fotografo di rockstar, ha un cast di tutto rispetto e si presenta come un film stiloso, direi quasi modaiolo, che vuole piacere all’occhio con quel suo bianco e nero nitido e chirurgico e quella simmetria quasi pittorica che assumono certe inquadrature.


La buona riuscita del film è coadiuvata anche da interpretazioni brillanti. Stella assoluta del film è Sam Riley, con quella sua faccia triste e dai sentimenti costipati e repressi che si trasformano in una strana tetraggine. Riley è davvero bravo a recitare nella parte di Curtis: sa cantare, sa muoversi come lui, gli somiglia in volto, simula alla perfezione gli attacchi di epilessia. Poi c’è Samantha Morton, che interpreta la moglie di Curtis, Debbie, e lo fa con la consumata arte di una grande attrice (sebbene proprio la Morton sia eccessivamente sottovalutata, io la preferisco addirittura a Carey Mulligan) e restituisce nel personaggio il dramma umano di una donna giovane e innamorata ma bistrattata dall’umore cupo e bizzoso del marito e frustrata nel suo amore da una sorta di indifferenza che si trasforma in rabbia ingiustificata da parte di Curtis.


Essendo il regista un fotografo, la fotografia del film non poteva essere trascurata. È una fotografia stupenda, bellissima, poetica. Un bianco e nero sontuoso, ricchissimo, cristallino. E la fotografia si fonde poi con la nitida e formalissima regia di Corbijn, anche questa elegantissima, di perfezione adamantina. Il film è un singolo, strabiliante movimento di camera. I fotogrammi sembrano foto d’arte che si muovono al ritmo della musica degli Joy Division che fa da sottofondo costante (ma non sono gli unici gruppi a cantare nel film) a tutte le scene del film. L’eleganza dello stile registico si vede anche nelle sue perfette capacità di sintesi visiva e uditiva, una concisione alla dinamite che rende il film denso fino al parossismo eppure lieve e aereo allo stesso tempo.


Anche la sceneggiatura opera una mirabilissima opera di sintesi e messa in scena. La voce di Riley ci legge i poetici testi di questa o quella canzone e poi sentiamo il gruppo registrare e poi ancora un bisticcio tra marito e moglie che tradisce una crisi profonda, un senso di colpa divorante e cocente. La sceneggiatura non sbava, non si confonde né inciampa da nessuna parte. Crea personaggi solidi e situazioni credibili, organizza l’azione dandoci l’idea perfetta dei tempi, dei caratteri e delle vicende. Eppure proprio in questa sceneggiatura sta la falla principale del film, l’errore imperdonabile che fa sfumare un probabile cult movie personale in un film carino ma comunque evitabile.


Il grande errore che compie la pellicola è quello di essere banale nei contenuti. Ebbene sì, la vita di questo Ian Curtis è davvero interessante? Gira il mondo, si droga, fornica in giro, litiga con la moglie. Ma non ne abbiamo viste a bizzeffe di cose così? Ogni aspetto del film è perfetto, il film stesso è perfetto ma solo a livello di forme, non di contenuti. Risulterà difficile allo spettatore tenere concentrata l’attenzione e si potrebbe arrivare al punto di dire che se gli attori non fossero bravi, il regista espertissimo, la fotografia stupenda e la sceneggiatura poetica, se solo uno di questi elementi fosse appena meno curato, minimamente inferiore a com’è il film esporrebbe il fianco a mille e mille critiche.


Insomma, il personaggio di Ian Curtis sembra banale, assolutamente poco incisivo, assolutamente grigio. A poco serve avere muscoli gonfi e lineamenti perfetti se sotto alla carne non ci sono ossa e tendini saldi e forti. Questo accade con Control. All’inizio è anche affascinante, poi comincia man mano ad annoiare e finisce per far diventare un film in bianco e nero in un film grigio, grigio in modo insopportabile. Cos’è dunque Control? Un prezioso esercizio di stile, ma nulla di più. Non aspettatevi nient’altro.


Se ti è piaciuto guarda anche... – I film biografici sulla vita tormentosa di musicisti e cantanti, antichi e moderni, abbondano. I miei preferiti sono di gran lunga lo stupendo Amadeus (1984) di Milos Forman, il delicato e ustionante Quando l’amore brucia l’anima (2005) di James Mangold, il visionario e poetico I’m Not There (2007) di Todd Haynes, La Vie en Rose (2007) di Oliver Dahan che non nervosismo e insolito turgore descrive la vita di Edith Piaf e infine il malinconico Last Days (2005) di Gus Van Sant sulla figura del mitico Kurt Cobain.


Scena cult – Le scene del film dove viene descritta la giovinezza di Curtis, che con una stanza, un personaggio e la sola musica restituiscono tutto il fervore musicale della fine degli anni ’70.

Canzone cult – La canzone che fa da perno ideologico del film: She’s Lost Control, ovviamente degli Joy Division. Nella versione cantata da Sam Riley, sia nell'originale degli Joy Division.

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