giovedì 30 agosto 2012

RAGAZZI FUORI (1990), Marco Risi


Italia, 1990
Regia: Marco Risi
Cast: Francesco Benigno, Alessandra Di Sanzo, Roberto Mariano, Maurizio Prollo, Alfredo Li Bassi, Salvatore Termini
Sceneggiatura: Marco Risi, Aurelio Grimaldi


Trama (im)modesta – Usciti dalle celle del carcere di Malaspina o comunque con un passato burrascoso alle spalle, un gruppo di ragazzi torna nel mondo (una Palermo ora civitasdei ora Babele polverosa) per ricostruirsi una vita ma, amaramente, si scontra ogni giorno con i propri trascorsi che si rifiutano di gettare ombre sulla loro vita disagiata. Dunque c’è Natale che si dà alla vita della strada, Antonino viene perseguitato ingiustamente sia dalla legge che dalla sorte e si mette a spacciare droga, il travestito Mery, accusato di tentato omicidio, continua a prostituirsi ma, passata la maggiore età, viene rimandato in prigione, Claudio, ragazzo padre, si sposa e lavora come meccanico fino a quando non incorre nella vendetta di Carmelo e lo stesso accade a Giovanni “King Kong” Trapani sacrificato inutilmente per un crimine di strada.


La mia (im)modesta opinione – Necessario sequel del già forte Mery per sempre, che fotografava con spietatezza le vite e le molte morti che attraversavano senza posa i giovani figli della criminosa suburbia palermitana con i loro dolori, le loro avventure, i loro lutti, questo Ragazzi Fuori riprende il discorso del suo predecessore e lo rinforza, lo tinge di colori più foschi, lo immerge in un luogo più caotico, una Palermo remotamente bella e disperatamente maledetta, un purgatorio di anime innumerevoli che ha smesso di conoscere qualsiasi forma di speranza arrotato com’è dal crimine da una parte e, dall’altra, vessata dalle sferzate di una legge stupida, negriera, imposta dall’alto come una gogna a cui si cerca di non sottostare. Ma, va detto, la mancanza di dialogo fra il popolo e la legge, per tramite dei suoi ministri e ufficiali, è solo il primo gradino, il più piccolo, di un’altra grande piramide che trova la sua base nella distanza della gente della strada dalle istituzioni, viste come crudeli e disinteressate, e il suo culmine nel fato, nella divinità, addirittura, che non solo sono assenti ma sono avverse e senza un briciolo di misericordia si accaniscono su chi ha già perso tutto.


Ragazzi Fuori è un film angosciante, dall’incedere tragico. Un film, dunque, che è anche profondamente siciliano, dalla testa ai piedi, sia nella sua vernacola comicità (che però è parte integrante dell’organismo tragico) sia in quel senso di fatale ineluttabilità che si sposa con morti e amori vissuti con lo spasimo che può solo derivare dalla disperazione. Ho detto che Ragazzi Fuori è un film profondamente siciliano, e forse non mi si può capire. Forse non potrebbe mai capire chi siciliano non lo è; e forse non potrebbe essere compreso il fatto che tutto ciò che il film mette in mostra (omicidi, carità, stupri, amplessi) fa parte dell’anima di una cultura antica e ardente dove frodi saracene si vanno mescolando a onori normanni e drammi spagnoleschi. Ragazzi Fuori vive fino in fondo le odissee dei poveri cristi, dei vinti e degli offesi, dipinge alla perfezione il sogno verde e lussureggiante di un popolo che, contro la vita impietosa, si arma di ironia e voluttà ma che non fa che scontrarsi contro muri selciosi e colossali labirinti cittadini dove dolore e crudeltà si mescolano a brividi di poesia e lacrime, ingoiate in privato.


È stato rimproverato, in effetti, al regista e alla pellicola in generale questa claustrofobia della speranza, questo suo essere radicalmente pessimista e negativo, questo suo sbriciolare o per crudeltà o per amarezza tutte le illusioni come un bambino sbriciolerebbe le ali di una farfalla. Un pessimismo che forse è fine a se stesso ma che, in definitiva, non si può che riconoscere come indissolubilmente legato a una realtà umana e spirituale che i più ignorano o, per meglio dire, che preferiscono ignorare. Non esiste borghese che abbia mai veramente posato lo sguardo sul labirinto della suburra del mondo – una suburra con le mani sporche di sangue e lo sguardo rivolto così prepotentemente al cielo – e già in questo film la visione fugace di un padre incravattato che conduce la figlia a scuola o di banali clienti di un bar, clienti appartenenti al mondo dei regolari, dei salvi, dei santi, forse, appare stridente, bizzarro, quasi inappropriato come un miscuglio umano un po’ adultero e sbagliato.


Come spesso succede, l’aspirazione radicale di aderenza alla realtà trabocca su se stessa ed eccede nel mondo della lirica – non certo la lirica filmica sublime dell’Oltreoceano o dell’Oriente, né quella fredda del Nord Europa con tutte le sue possibili variazioni locali, ma una lirica terricola, verace, quasi brutale che però si svela solo in certi momenti: una canzone fischiettata in una fredda e sola piazzetta, il pianto di un disperato dal fondo di un carcere, due ragazzi che fanno l’amore, tutti tremanti, in un vagone abbandonato, un mesto disadattato che vende il proprio corpo e si tuffa in una fontana. La critica ha definito l’opera di Risi neo-neorealismo: aveva ragione. Le aspirazioni sono le stesse ma non solo sono raggiunte con maggiore efficacia ma l’affresco dipinto a colori più vividi, più variegati, più aderenti a una realtà di estatico stupore, quieta contemplazione e indicibile violenza. Guardate Ragazzi Fuori: è la vita su cui, non guardandolo, non potreste mai più posare lo sguardo.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Dunque, essendo Ragazzi Fuori un sequel, non si può che raccomandare il validissimo film originale ovvero Mery per sempre (1989) di Marco Risi. Un vago parallelismo è intuibile con il ben più esuberante e colorato City of God (2002) di Fernando Meirelles mentre una parentela parecchio più stretta la si ha con Gomorra (2008) di Matteo Garrone, che però differisce dalla cronaca criminale di Risi nel suo desiderio di impegnata denuncia sociale. Similarità di ritratto corale e disperazione assoluta si ha con Kids (1995) di Larry Clarke che, anche se rifugge i toni foschi di Ragazzi Fuori, dipinge una non dissimile gioventù, dannata e quasi facente parte del dedalo di strade e cemento. Ricordiamo, in questa sede, anche i validi film d’oltreoceano Boyz ’n the hood  (1991) di John Singleton e il francese La haine (1995) di Mathieu Kassovitz.


Scena cult – Claudio e Giulia e il loro timido (e non troppo convinto, ma per questo migliore) sesso nel vagone abbandonato.

Canzone cult – Tasto dolente. Meglio non parlarne.

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