lunedì 19 novembre 2012

AUDITION (1999), Takashi Miike


Giappone, 1999
Regia: Takashi Miike
Cast: Ryo Ishibashi, Eihi Shiina, Tetsu Sawaki, Jun Kunimura
Sceneggiatura: Daisuke Tengan


Trama (im)modesta – Shigeharu Ayoama è un vedovo di mezz’età che vive con il figlio adolescente. È proprio suo figlio a spingerlo a cercare una nuova relazione stabile, una nuova donna con cui passare il resto dei propri giorni. Ma Shigeharu non si accontenta del caso: lui vuole scegliere con meditazione, dopo aver saggiamente ponderato. Un suo amico che lavora nello spettacolo, dunque, gli propone di indire un’audizione per un film che non esisterà mai, cosicché lui avrà la possibilità di esaminare per bene ogni pretendente e scegliere quella che più gli aggrada. Fra le tante ragazze piacenti, al concorso si presenta la diafana Asami, ragazza dolce e remissiva ma dal passato oscuro. I due, prevedibilmente, s’innamoreranno ma quando la vera natura di Asami uscirà allo scoperto, le cose peggioreranno per tutti.


La mia (im)modesta opinione Audition di Takashi Miike è uno di quei film che fanno la storia. Uno di quegli instant cult che rimane fissato fin dalla sua prima uscita nella mente dello spettatore e che si ripropone, riappare sempre, è ogni volta presenta. Audition è un film che fa ancora discutere non solo per complessità di temi e strutture narrative, ma anche per eleganza e stile registico, che in questo film si esprimono alla perfezione. Non ho la preparazione sufficiente per affermare che Audition sia il film più maturo di Takashi Miike, non conoscendo io bene la sterminata produzione del regista; ma, fra quelli che ho visto è, più che il più bello, sicuramente il più strano.


Per analizzare i significati e le allegorie del film sarebbero necessari più di questi pochi paragrafi. Diremo che, sommariamente parlando, il film è una complicata analisi della solitudine, di come questa defluisca nella disperazione e, infine, nell’alienazione. E dall’alienazione alla crudeltà il passo è molto breve. I due protagonisti del film si caratterizzano per il loro bisogno di amare e per la devianza che questo bisogno imprime al corso dei loro pensieri: se Shigeharu decide di scegliere il proprio amore futuro come si farebbe con un capo di bestiame, Asami piomba giù dritta fino al nucleo di segreta malattia di cui la solitudine è il dolceamaro involucro.


Aperto il sacrario, la solitudine di Asami è un vuoto devastante, capace di comunicare con l’Altro con lo strumento più basico che conosce: la carne. Nella scena-cardine del film, che lo divide idealmente a metà e segna il punto di non ritorno della relazione fra i due protagonisti, Asami attira prima l’attenzione dell’Altro con il corpo, poi, quando lo vede finalmente arreso, ha il coraggio di chiedere ciò che vuole: amore, amore eterno. Ma come il sentimento positivo si riflette solo nell’atto carnale, così quello negativo (la frustrazione, la rinnovata solitudine, il senso di sconfitta) esita in una tortura sanguinaria e crudele che dimostra quasi matematicamente come l’Io alienato riconosca l’Altro solo come strumento, riflesso di sé. Ed è proprio il bisogno di contatto estremo che trasforma il bisogno d’amore in insensibilità e crudeltà.


Oltre a questa rapida esegesi a volo d’aquila, basti sapere del film che trova la sua forza nelle sequenze di tipo onirico-memoriale, incredibile virtuoso di abilità drammaturgica e registica. Quello che abbiamo davanti è la perfetta trasposizione filmica di quello che in letteratura è noto come “flusso di coscienza”. Senza apparente punteggiatura cronologica e narrativa, vediamo le due menti dei protagonisti intrecciarsi e sfogare in un’unica, devastante crudeltà. Questo è l’amore per Audition: l’unione di memorie personali e condivise che raramente è puro e quasi mai disinteressato. Tutta una sequenza che, con scene diverse, sarebbe stata una perla di romanticismo e psicologia, diventa inquietante e perversa tramite le memorie e le fantasie di Asami.


Audition non è solo un film di densi contenuti ma anche e soprattutto un saggio di perfezione registica alternativa (dico così perché gli altri registi ci fanno vedere dall’esterno, in Audition vediamo da dentro) e una prova di incredibile capacità di controllare la grammatica registica e cinematografica che porta alla creazione di un film alleggerito da ogni bastardaggine e filosoficamente complesso ma che riesce incredibilmente a condensare con tanta bravura messaggi e significati da consentire anche a scene estrapolate dal loro contesto di avere un significato a sé, tutto proprio e soprattutto molto cangiante.


Se ti è piaciuto guarda anche...Audition si iscrive idealmente nella trilogia giapponese sull’alienazione della società, che affratella il film di Miike all’importante ma un po’ goffo Battle Royale (2000) di Kinji Fukasaku e al disturbantissimo Suicide Club (2001) di Shion Sono. Altri tre film concettualmente vicini ad Audition sono il cult American Psycho (2000) di Mary Harron, lo stupendo dramma Diario di uno Scandalo (2006) di Richard Eyre e il diabolico Funny Games U.S. (2007) di Michael Haneke. Sebbene inferiore a livello cinematografico, consiglio moltissimo anche l’horror psicologico Deadgirl (2008) di Marcel Sarmiento e Gadi Harel.


Scena cult – Oltre al monolitico incipit, segnaliamo la scena horror dello “schiavo” di Asami, la decapitazione col filo e gli ultimi venti minuti da antologia.

Canzone cult – Non pervenuta. Ma ricordiamo in questa sede il video dei My Chemical Romance Honey, This Mirror Isn't Big Enough... che ricostruisce tutte le scene salienti del film.

2 commenti:

  1. Film pazzesco, in grado di inquietare nel profondo e a più livelli.
    Uno dei miei preferiti di Miike.

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