martedì 26 marzo 2013

CUORI IN ATLANTIDE (2001), Scott Hicks


USA, 2001
Regia: Scott Hicks
Cast: Anton Yelchin, Anthony Hopkins, Mika Boorem, Hope Davis, David Morse
Sceneggiatura: William Goldman


Trama (im)modesta – Un vecchio guantone da baseball, consegnatogli a casa, porta il famoso fotografo di mezz’età Bobby Garfield al funerale di un suo antico amico d’infanzia. Tornato nella città natale, Bobby rievoca l’ultima estate della propria infanzia: i primi amori, la madre vedova e leggera che lo trascurava di continuo e il signor Brautigan, un misterioso vicino, che gli aveva insegnato a essere uomo. E proprio la figura di Ted Brautigan è avvolta di mistero: un attempato e mite vicino di casa, a prima vista, con qualche scheletro nell’armadio, che cade di tanto in tanto in misteriosi stati di trance e che scappa da un gruppo di “uomini bassi”, che lo stanano dovunque egli vada, alla ricerca di non si sa cosa.


La mia (im)modesta opinione – Scott Hicks è il classico regista totalmente discontinuo, assolutamente legato alla qualità degli script sui quali lavora e che determinano in massima parte la riuscita dei suoi film. Divenne giustamente famoso per lo stupendo film Shine e questo Cuori in Atlantide, basato su una novella di Stephen King, è un film di assoluta qualità. Putroppo il nostro Hicks non si è ripetuto nel futuro e ha prodotto filmetti di scarsissimo spessore quali Sapori e dissapori e Ho cercato il tuo nome. Ma ogni tanto fa bene tornare a visitare le vecchie glorie del passato e per questo consideriamo Cuori in Atlantide, piccola gemma nascosta nella filmografia di un altrimenti mediocre autore che, grazie al testo di partenza di uno dei massimi autori americani viventi (ammettiamolo, King può perdere colpi qua e là ma va annoverato fra i grandi scrittori americani del suo secolo) riesce a emozionare e appassionare con la sua grazia delicata e la sua eleganza.


Più che in altri film, qui la presenza dell’opera di King è fortissima. Intendiamoci bene, la novella Uomini bassi in soprabito giallo (infatti Cuori in Atlantide era il titolo della raccolta) era proprio diversa dato che finiva in un altro modo e conteneva riferimenti alle altre grandi opere del Re del Brivido. Lo sceneggiatore Goldman fa una scelta elegantissima: eliminare i vari riferimenti alla saga de La torre nera e ricostruire un finale plausibilissimo che lo stesso King potrebbe aver scritto. La fine del film ricorderà a molti le atmosfere de L’incendiaria ma soprattutto nella pellicola abbondano i luoghi comuni dello scrivere kinghiano: il passaggio dall’infanzia all’età adulta, il genitore incompetente, il bullismo subito, il gruppo di amici per sempre diviso. In tutto ciò, proprio come in un romanzo di King, il fattore soprannaturale si inserisce con assoluta discrezione, lasciando molto più spazio (e per fortuna!) all’elemento drammatico.


E oltre alla ben fatta sceneggiatura di Goldman (adattatore fra l’altro di Misery non deve morire, Il maratoneta e Potere assoluto) il film si fa memorabile con le interpretazioni di un mostro sacro del cinema internazionale, Anthony Hopkins, e di una giovanissima promessa, Anton Yelchin, che fra un film d’autore e l’altro si sta guadagnando un posto al sole che speriamo diventi sempre più grande. Entrambi i protagonisti sono ottimi nella loro parte, ma Yelchin supera Hopkins in intensità di recitazione e versatilità dato che il nostro povero Hopkins si ritrova ormai affidati pochi ruoli veramente all’altezza della sua bravura e troppi, invece, che sfruttano le sue possibilità attoriali solo in esigua parte. Hopkins è comunque meraviglioso nel tratteggiare la figura del misterioso vicino coi suoi sguardi malinconici, il suo stile d’altri tempi e quel tocco di eleganza british che contraddistingue sempre il grande attore inglese.


La regia di Hicks è precisa e calorosa, ma abbastanza disimpegnata. Questo fa di Cuori in Atlantide un film non eccessivamente impegnativo e, per contrappasso, nemmeno eccessivamente memorabile. Eppure la pellicola riesce a emozionare nei suoi punti salienti, a costruire scene davvero coinvolgenti e, alla fine, a colpire molto positivamente senza rivelare alcun punto debole: nessuna ruffianeria, nessuna incongruenza, nessuna esagerazione. E allora potremmo pure dire che Cuori in Atlantide dimostra come, anche in fatto di cinema, lo script regni sovrano e che sobrietà ed eleganza, senza arroganze o desiderio di strafare, garantiscano sempre risultati positivi. Da ricordare.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Film tratti da King che parlino di infanzia perduta? Troppi per ricordarsene: il più straziante è certo Stand By Me (1986) di Rob Reiner, accanto ai certamente mediocri Firestarter (1984) di Mark L. Lester e L’acchiappasogni (2003) di Lawrence Kasdan fino ai più epocali It (1990) di Tommy Lee Wallace e il grande classico Carrie (1976) di Brian DePalma e il suo prossimo remake Carrie (2013) di Kimberly Peirce. Altri importanti coming-of-age sono poi Il calamaro e la balena (2005) di Noah Baumbach, il sommo capolavoro Tout est parfait (2008) di  Yves Christian Fournier, il nostalgico Quasi famosi (2000) di Cameron Crowe, Un’estate da giganti (2011) di Bouli Lanners e Guida per riconoscere i tuoi santi (2006) di Dito Montiel.


Scena cult – Le scene gemelle del pestaggio di Carol e dello stupro della madre di Bobby.

Canzone cult – L’alquanto abusata ma sempre stilosissima Only You dei The Platters, Carol del grande Chuck Berry e la Come fly with medi James Darren.

2 commenti:

  1. non l'ho visto, ma Hopkins mi ispira moltissimo sempre

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    1. Una visioncina la merita. Nulla di che, ma è un bel film lo stesso.

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