lunedì 20 maggio 2013

IL GRANDE GATSBY (2013), Baz Luhrmann


USA, Australia, 2013
Regia: Baz Luhrmann
Cast: Leonardo DiCaprio, Carey Mulligan, Tobey Maguire, Joel Edgerton, Isla Fisher, Elizabeth Debicki
Sceneggiatura: BazLuhrmann, Craig Pierce


Trama (im)modesta – New York, 1922. Il giovane Nick Carraway, impiegato in Borsa e aspirante scrittore, affitta una piccola casa nella Long Island dei super ricchi. Proprio il suo vicino, è il più ricco di tutti: un uomo misterioso, che dà grandiose feste senza mai farsi vedere o fare sapere qualcosa di sé. Quest’uomo è Jay Gatsby. Un giorno Nick riceve un invito di Gatsby a partecipare a una delle sue feste: il miliardario vuole fare amicizia con lo squattrinato, ma perché? Il mistero sarà presto risolto, quando cioè Gatsby chiederà a Nick di organizzargli un incontro con sua cugina, Daisy, una donna sposata, amata da Gatsby cinque anni prima…


La mia (im)modesta opinione – C’era una volta Baz Luhrmann, un regista australiano dalla firma incendiaria, che era salito agli onori della cronaca con un’epocale adattamento del mito di Romeo e Giulietta e con un musical, Moulin Rouge!, dalla distruttiva potenza ma con una pericolosa tendenza alla smanceria. Arrivò poi, anni dopo, uno pseudo kolossal, Australia, deludente come pochi altri baracconi nella storia del cinema dell’ultimo quindicennio. E poi c’è Il Grande Gatsby, un film praticamente già scritto, anabolizzato fino al parossismo dall’abnormità di una campagna pubblicitaria quasi ridicola nella sua grandezza: poster e tabelloni hanno invaso tutto, dalla televisione ai muri dei palazzi; una colonna sonora all’anfetamina con tutti i cantanti più alternativi del momento: Lana del Rey, Jay-Z, Beyoncé che covera la Winehouse, Emeli Sandé che covera Beyoncé, Florence + the Machine. Non parliamo poi di Gatsby stesso, con il volto biondo di Leonardo Di Caprio che campeggia su ogni copertina.


Un film che va a colpo sicuro, dunque: sbancati i botteghini, stracolme le sale, frotte di fan adoranti che, appena usciti dal cinema, sciamano sulle librerie per comprare il libro di Fitzgerald (ammesso che ne sappiano pronunciare il nome) e dire di averlo letto e adorato. Il film, in definitiva, com’e? All’altezza della sua prematura leggenda: un tripudio di sfarzo volgarotto e lussi popolareschi congegnati per strabiliare il pubblico ignaro e farlo distrarre dalla chiara grossolanità di inquadrature e scenografie che paiono strappate al più mieloso fra gli spot di profumi francesi. Si consuma così il dramma umano di Jay Gatsby, dietro una fotografia plasticosa, sepolto vivo da una sciagurata slavina di brillocchi firmati Tiffany la cui ostentazione farebbe arrossire il più sciacallo dei pubblicitari.


Fenomeno di costume? No, product placement. Almeno in parte. Già perché, anche con tutti i suoi vezzi elefantini, Il Grande Gatsby riesce a essere un film di una certa consistenza. I tempi non erano propizi per mostrare il vero Gatsby di Fitzgerald (il definitivo crollo del sogno americano, l’insensatezza del nostro destino e via dicendo), così Luhrmann ci delizia con una collaterale analisi sul sogno e ci fa la grazia di un approfondimento psicologico (rudimentale) che almeno evita di trasformare un pilastro della letteratura americana in un banale melò da operetta. Sia chiaro, io Il Grande Gatsby non l’ho mai amato: né come libro, né come film. Ho sempre trovato i suoi personaggi infantili e arroganti, nessuno escluso, e specialmente Jay Gatsby, illustre esempio di fallimento umano e accecamento.


Gatsby è un eroe tragico, sì, ma senza nulla d’eroico. Un Conte di Montecristo monco di vendetta o filosofia, che ha fatto di tutto per l’amore di una donna che l’abbandona al momento più scomodo. Gatsby, è vero, è l’unico individuo della storia fatto puro proprio per la purezza del sogno che lo muove, ma commette il fatale errore di credere di poter incantare colei che ama semplicemente comprandola coi lussi della propria ricchezza e le proprie smancerie senza minimamente preoccuparsi di dimostrarle di essere più degno, ma solo di essere più danaroso. E lo stesso si potrebbe dire di tutti gli altri personaggi: umani, troppo umani. E forse è questo il maggior valore de Il Grande Gatsby, fare vedere gli uomini in tutta la loro sconcertante meschinità, privarli d’ogni eroismo possibile e degradarli con irresistibile amarezza.


Ma, per tornare al film, quella che mi sento di dargli è una mezza promozione e una mezza bocciatura. Promuovo Gatsby per lo spettacolo che imbastisce, per la sfavillante colonna sonora, per le grandi interpretazioni del cast, per la grossezza dell’impianto faraonico. Boccio Gatsby per l’obesità della sua struttura, per la crassa ostentazione d’oro e ricchezza, per la sceneggiatura tagliata col machete, per la stessa messinscena di opulenza da parvenu. Non vi consiglio di guardarlo: non vederlo sarà impossibile, anche perché un film così sta tutto strizzato dentro il trailer. Rimandiamo Luhrmann a Settembre (o almeno il prossimo film): che la successiva pellicola non sia tanto facile  e prevedibile. Un buon suggerimento sarebbe quello di finirla con queste tritissime storie d’amore tragico.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Oltre a Il Grande Gatsby (1974) di Jack Clayton, i veri anni ’20 sono quelli del Chicago (2002) di Rob Marshall e del sognante Midnight in Paris (2011) di Woody Allen. C’è poi il meraviglioso La Vie En Rose (2007) di Oliver Dahan, Cinderella Man (2005) di Ron Howard. Per altre interpretazioni epocali del grande Di Caprio, consigliamo il recentissimo Django Unchained (2012) di Quentin Tarantino e il bellissimo Romeo e Giulietta (1996) del nostro Baz Luhrmann. Carey Mulligan il suo meglio l’ha dato altrove, invece: Drive (2011) di Nicolas Winding Refn, Shame (2011) di Steve McQueen e il bell’esordio An Education (2009) di Lone Scherfig.


Scena cult – La festa di Gatsby, unica emozione di tutta la pellicola.

Canzone cult – Oltre la gattamortissima (ma non per questo meno stupenda) ballata Young and Beautiful di Lana del Rey, si segnala la validissima Crazy in Love, versione charleston, cantata da Emeli Sandé e l'urlo straziante dell'epica Love is Blindness di Jack White.

9 commenti:

  1. Io, invece, l'ho davvero trovato grande nella sua imperfetta sbornia di cuore.
    Uno dei titoli più importanti dell'anno, nel bene e nel male.

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    1. Non gli perdono la mancanza di finezza. C'è del bene e c'è del male, ma quanto a sbornie d'amore preferisco Xavier Dolan.

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  2. Più o meno ho scritto le stesse cose. Penso però, diversamente da te, che la storia sia una delle più belle che siano mai state scritte.

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    1. Mai amato troppo Gatsby, la storia comunque non è unica nel suo genere. Avrebbe meritato una migliore esegesi, in ogni caso.

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  3. Dimostrando di dare al Gatsby letterario la stessa caratterizzazione di quello di questo film, dimostri semplicemente di non avere letto il libro. Sono voci di risulta , quelle che metti su Fitzgerald, e si vede.
    Poi ti arrabatti per trovarne difetti assolutamente iniqui mentre tra le righe lo apprezzi...

    BOH

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    1. Io l'ho letto, Gatsby. E ne parlo con cognizione di causa. Ma ne parlo secondo i miei gusti e i miei criteri. Sono diversi ma non insensati.

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    2. Non e' che puoi usare sempre il baluardo della 'diversita' per giustificare qualsiasi minchiata, sai? C'e' un'oggettivita' dettata dall'intelligenza e dalla cultura,per esempio.Ci sono argomentazioni,ragionamenti e costrutti. Non usarli non significa essere 'diversi'.Significa non aver capito un'infiocchettatissima ceppa...
      Ti ricordo che sei sempre lo stesso che considerava H.S.Thompson un poeta.E che e' troppo pirletta per correggeri. ;)))

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    3. Puoi espormi il tuo punto di vista su Gatsby, se preferisci. Dato che secondo te l'ho capito così male. Semplicemente, le voci non sono di risulta, perché il libro l'ho letto davvero e davvero non l'ho amato. Mi indispongono i personaggi, le metafore annacquate o troppo oscure. Non è un cattivo romanzo, anzi. Solo che non mi piace.

      Quello della diversità non è un baluardo, inoltre. Le opinioni sono semplicemente divergenti, la possibilità di dialogo è sempre aperta. E non c'è nulla che possa chiuderla, nemmeno la spocchia da intellettualoide militante e sboccato che ami tanto sfoggiare. Apprezzo la tua prosa, però. Quel che giusto è giusto.

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  4. Bravo! Perfetta istantanea del film. Ma sopratutto: ne avevamo bisogno?
    Sebene la storia mi abbia sempre affascinato sono felice che qualcun altro lo paragoni a un Montecristo "monco".
    Da premettere che Jay rispetto a un Edmond ha sviluppato un ristretto spettro di sentimenti, animato solo alla riconquista di quell insipida! Da questo punto di vista mentre Edmond, come un supereroe, si immedesima nella sua nuova identia da conte, il secondo sembra sguazzare nella figura di parvenu.
    Per quanto rigurada la questione dell attesa, personalmente non la trovo una smanceria anzi: è li la chiave del tutto. Immedesimatevi nell aspettare qualcosa e pianificarla nei minimi dettagli: in ogni giorno per sette anni ce ne è di tempo. L'ansia e aspettative che ne derivino credo siano insopportabili. E pure, alla fine, ogni gesto, se bene sia stato studiato, è sintomo genuino della personalita. Immagino che Ii personaggio Gatsby avrebbe inviato un invito ad personam a Daisy per mettersi in mostra e opulenta competizione con il marito. Trovo quindi sempre sorprendente come il Vero Gatsby opti per un tea nel monolocale del vicino. E bene, se l'opulenza è il metro con cui bisogna apprezzare Gatsby questo non è un film per me (perchè piu pacchiano della versione con Redford),ma se capiamo come Gatsby abbia interpretato la materialita come mezzo per i suoi fini possiamo dire quindi che non perforza il lusso lo rappresenti. Guardare solamente alla materialità è come il detto "Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito".Questo mi sembra un messaggio che tuttoggi debba essere tenuto in considerazione. Un atra questione che a mio avviso merita menzione è l agrodolce bilancio tra la smanceria e la più irrecuperabile amarezza: la morte.
    La morte è sempre stato il sigillo per creare una legenda o un' icona. Se parlassimo di musica vi parlerei di Lenon, ma se siamo nel cinema mi sento obbligato a scomodare un "immortale"Sebastian Valmont (raro caso in cui un remake renda piu dell'originale). La morte piu che la redenzione o il dolce finale concede il piu grande risultato: chiedersi cosa sarebbe successo ai protagonisti, cosa sarebbe cambiato dopo,cosa si sarebbe potuto evitare ma sopratutto non ci da tempo di farci una nostra idea del personaggio e la sua vita.
    La mia ultima nota personale riguarda il paradosso con i tempi di ieri e di oggi . Il film è ambientato in una new york sull orlo della crisi:oggi il mondo ci è o quanto meno cerca di riprendersi. Dovrebbe farci riflettere su come oggigiorno si incontrino dei vuoti Gatsby ( presunti tali) e quanti pochi Gatz. Ancora peggio è fare un bilancio di chi dei due la società meglio apprezzi...ai posteri l'ardua sentenza.
    Rimango comunque sorpreso da come mai questo personaggio dall emotività bidimensionale non ti abbia mai interessato!

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