martedì 21 maggio 2013

UN GIORNO QUESTO DOLORE TI SARÀ UTILE (2011), Roberto Faenza


Italia, USA, 2011
Regia: Roberto Faenza
Cast: Toby Regbo, Marcia Gay Harden, Peter Gallagher, Ellen Burstyn, Lucy Liu, Deborah Ann Woll
Sceneggiatura: Roberto Faenza, Dahlia Heyman


Trama (im)modesta – James Sveck è un diciassettenne newyorchese con parecchi problemi. Di famiglia agiata, con genitori divorziati, sorella oca intellettuale, madre che salta da un matrimonio all’altro, padre che fa la vita da scapolo e un cattivo rapporto con il mondo, James vorrebbe soltanto rinchiudersi in una casa di campagna, leggere e intagliare legno. Ovviamente i suoi piani escludono tassativamente l’iscrizione all’università, temuta quasi quanto la compagnia umana. Solo punto di riferimento per James, è la nonna Nanette e il cagnolino, Mirò. E così passano le sue giornate d’estate: fra una seduta dalla life coach e un pomeriggio alla galleria d’arte moderna della madre, fino a quando James non capirà quale è la sua strada.


La mia (im)modesta opinione – M’aspettavo un qualcosa di più intellettualoide, non lo nego. Appena ho intuito di una famiglia strampalata, di un giovane fragile ed ebbro di poesia e della sempiterna New York il pensiero m’era corso a I Tenembaum, a Bresson, ai miserabili efebi di Van Sant... mi sbagliavo. Oddio, non che Faenza sia il migliore regista del mondo: ha all’attivo giusto una sequela di filmetti dimenticabili, coronati dal ruffianissimo Alla luce del sole e dal dramma sentimentale I giorni dell’abbandono. Altra nota negativa: avevo letto il libro su cui l’opera è basata. E in effetti il dolore di leggere una ciofeca tale mi è stato utile: non giudicherò più tutti i libri dalla sola copertina.


Eppure il film è migliore del libro. Merito dell’ottimo cast che Faenza mette insieme e di una regia il cui massimo peccato è la troppa scolasticità e l’evidente piattume. Di nuovo, non che il soggetto fosse dei migliori: e in fondo a che servirebbe raccontare una storia che già Salinger aveva raccontato, nel suo Il giovane Holden? Almeno nella pellicola, il personaggio di James non è il nevrotico, piagnucoloso e chiaramente omosessuale represso dei libri. È nevrotico, è piagnucoloso e sì, ha qualche segretuccio dentro l’armadio, ma non riesce tanto irritante quanto il piccolo scavezzacollo snob della pagina.


Toby Regbo fa un lavoro eccellente. È così dentro al personaggio ed è un volto tanto inatteso nel panorama dei bellocci palestrati moderni che non si può non affezionarsi subito a lui. Di certo uno dei visi più interessanti della nuova generazione d'attori. Idem per la sex bomb Deborah Ann Woll, la rossa fatale di True Blood, e Marcia Gay Harden, una che mi dà sempre le migliori soddisfazioni. Il resto del cast è una nota negativa: Lucy Liu ed Ellen Burstyn sono altamente sprecate (specialmente la Burstyn: lei è la vecchietta schizzata di Requiem for a Dream, uno dei ruoli più sconvolgenti di sempre!) mentre Peter Gallagher s’è arenato sulla parte di ultracinquantenne gaudente e lì è rimasto. Ma mi sta simpatico, in qualche maniera.


Sul versante tecnico/artistico niente da segnalare. Tutto spaventosamente in regola. Tutto pare fatto magicamente apposta per far dimenticare il film non appena lo si è visto. Nessuna battuta, nessuna scena. Maluccio per un film che vorrebbe fare tanta e tale filosofia sul male di vivere dei giovani. Un diverso approccio sarebbe stato migliore, anche perché, coi tempi che corrono, la crisi della giovinezza è un tema quanto mai attuale e vivo. Film perdibilissimo, in definitiva. Non perdete tempo a guardarlo: è questa l’epoca in cui dobbiamo guardarci maggiormente dagli esercizi sterili.


Se ti è piaciuto guarda anche... Tout est Parfait (2008) di Yves Christian Fournier è il film ideale, perfetto, bellissimo, toccante. Il grande classico del genere, poi, è Il diavolo, probabilmente (1977) di Robert Bresson, come anche il recentissimo Noi siamo infinito (2012) di Stephen Chbosky. C’è poi il sommo capolavoro Requiem for a Dream (2000) di Darren Aronofsky, insieme al Paranoid Park (2007) di Gus Van Sant e il Detachment (2011) di Tony Kaye.


Scena cult – Non pervenuta.

Canzone cult – Non pervenuta.

4 commenti:

  1. Quanto è vero: il film è certamente meglio del libro.
    E se un film bruttino si dimentica subito, la rabbia per un brutto libro a me brucia sempre più a lungo.

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  2. film davvero bruttarello!

    del libro però ne avevo sentito parlare finora più che bene...

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