mercoledì 4 luglio 2012

LES GÉANTS (2011), Bouli Lanners


Belgio, 2011
Regia: Bouli Lanners
Cast: Zacharie Chasseriaud, Martin Nissen, Paul Bartel, Didier Toupy, Marthe Keller
Sceneggiatura: Bouli Lanners, Élise Ancion


Trama (im)modesta – Zak e Seth sono due fratelli di tredici (e tre quarti) e quindici anni. I due sono totalmente liberi durante l’estate, abbandonati a loro stessi da una madre assente e perennemente lontana. I due prendono l’auto del nonno e vanno nella loro casa in campagna. Durante il tragitto si unisce a loro il quindicenne Danny. Le cose vanno bene fino a quando i tre non rimangono senza denaro e affittano la casa a uno strambo spacciatore di marijuana che vuole trasformarla in una piantagione. Ma le cose non vanno come previsto e l’estate dei ragazzi diventerà un’odissea dolceamara fra spinelli fumati di nascosto, improbabili tinte di capelli e strani incontri con un mondo degli adulti grottesco e deformato.


La mia (im)modesta opinione – Certi film sono davvero impagabili. Certi film danno come pochi certe emozioni così forti e penetranti. Les Géants è uno di questi. All’apparenza lo sconclusionato periplo per la sconfinata campagna belga di tre teppistelli sudicioni, in realtà un racconto sull’infanzia singolarmente potente nel restituire quella vibrante, gioiosa, viscerale ebbrezza del vivere che si prova ad una certa età. Se ormai gli autori cinematografici riescono solo a cavare del torbido dai racconti infantili (anche torbido inconsapevole, il sesso fra preadolescenti è uno dei guilty pleasures più in voga), i creatori di questo film sono capaci di descrivere una scoperta della vita segnata dal candore e dall’innocenza più assolute e, al contempo, di scavare con intensità chirurgica nelle psicologie dei propri personaggi.


Chiariamoci: non che Les Géants sia un film dal facile buonismo. Anzi, è un film amaro, a volte difficile da digerire, a volte rigato dal sale di lacrime cocenti. I suoi stessi protagonisti non sono affatto innocenti: tre ragazzini che si muovono attraverso una campagna di certo bella ma che di idilliaco ha ben poco, una campagna popolata da loschi figuri: spacciatori sdentati, cani idrofobi, grassi scagnozzi, signore affettuose ma strambe, fratelli violenti e pazzoidi. I protagonisti la loro innocenza l’hanno persa da un bel po’ ma riescono tuttavia a vivere le loro emozioni e sperimentare la loro vita con una freschezza a cui noi non siamo abituati e anche i loro dolori (perché se il dolore fa crescere, questi ragazzi sono già adulti fatti e finiti) sono vissuti con aspra sofferenza ma sono tutti ammantati come di una luce illibata e pura.
 

Ed è proprio nei protagonisti che il film trova la propria forza. Tre ragazzi “veri”, non quei ventiseienni che il cinema USA cerca di spacciarci per sedicenni, tre ragazzi sinceramente belli, ognuno a suo modo, ognuno sanguinante per una ferita diversa. Abbiamo il più piccolo e vivacissimo Zak con quel suo muso quasi felino e gli occhi vispi e ribollenti e sanguinanti a un tempo di rabbia, lacrimanti per l’assenza (soprattutto affettiva) di una madre perennemente lontana, costantemente vagheggiata e dovunque ricercata; abbiamo Seth, con quel suo profilo esagerato, sghembo e lo sguardo scuro e meditativo sempre sconcertato davanti le piccole tragedie della vita, e poi c’è Danny, con quella sofferenza che brucia al calor bianco nelle sue iridi azzurre e l’espressione languida e triste di un angelo in esilio sposata a un corpo già quasi adulto. Una tripletta non solo di volti, ma di attori formidabili, bravi fino all’eccesso, che lasciano stupefatti e commossi.


A questo terzetto fa da controcanto un'intera fantasmagoria di adulti grotteschi, bislacchi, assenti, strambi fino alla deformazione comica. Una maniera curiosa di vedere il mondo dei grandi con gli occhi dei tre protagonisti che si trovano di fronte una inquietante trafila di esseri subumani violenti, mitomani, crapuloni che  trattano i bambini peggio che gli animali, cercano di usarli quando possono ma non li fanno mai rientrare nei loro calcoli e così appaiono estranei, appunto, deformati, imbruttiti e soprattutto abbrutiti. Ed ecco che si spiegano alla perfezione le fisionomie bizzarre, aliene o animalesche, dei più grandi, le loro smorfie bestiali, il loro odioso menefreghismo, la loro condiscendenza infastidita, la loro violenza gratuita pronta a scoppiare alla minima incrinatura di quel sottile strato di ghiaccio che copre il lago disumano della loro bestialità.


Se dovessi usare una parola per descrivere la sensazione che si prova alla fine di questo film, "commosso" sarebbe il termine giusto. Commosso per l’inguaribile nostalgia del candore dell’infanzia, commosso per la tenue e fragile bellezza della rorida e selvatica campagna belga (deturpata da paludi marcescenti, concrezioni di metallo ritorto e rugginoso, baracche pericolanti), commosso per il dramma immedicabile e profondamente umano dei personaggi, commosso per la solitudine che soffia nel vento sul finire dell’estate, trascinando qui e lì qualche sparuta foglia autunnale, commosso per quel senso di desolazione che non può non esplodere (in questo senso le inquadrature a campo lungo sono essenziali: i giovani protagonisti sono soli in un deserto verde e rigoglioso, un luogo ameno ma sempre un deserto. Forse un'allegoria della moderna giovinezza?). Commosso perché tutto ha e deve avere una fine. Les Géants è un film da vedere. Un film toccante non lacrimoso, delicato non buonista, intimista ma non deprimente. Insomma, la mia idea di film.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Il grande classico della mia infanzia (che mi ha segnato, mio malgrado) ovvero Stand By Me (1986) di Rob Reiner. Poi omaggio al nostrano Io non ho paura (2003) di Gabriele Salvatores e al grande classico I quattrocento colpi (1959) di François Truffaut. Cito il negletto (a torto) Correndo con le forbici in mano (2006) di Ryan Murphy, lo stranamente deprimente Un ponte per Terabithia (2007) di Gabor Csupo, l’insolito e ambiguo En Tu Ausencia (2008) di Ivàn Noel e il duro Twelve and Holding (2005) di Michael Cuesta.


Scena cult – Il delicato dialogo davanti al fuoco, in riva al lago, in cui si parla della morte e del dolore e la scatenata scena di vandalismo nella casa delle vacanze disabitata. 

Canzone cult – Soundtrack stupenda e minimale tutta realizzata dai The Bony Kings of Nowhere. Le tracks più notevoli sono Across the River, The Stranger e For the Autumn. Ma la soundtrack completa la troverete qui.

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