sabato 28 luglio 2012

PRETTY PERSUASION (2005), Marcos Siega


USA, 2005
Regia: Marcos Siega
Cast: Evan Rachel Wood, Adi Schnall, Elisabeth Harnois, Ron Livingston, James Woods
Sceneggiatura: Skander Halim


Trama (im)modesta – Kimberly Joyce, figlia di un ricco tycoon dell’elettronica, frequenta una esclusiva scuola privata di Beverly Hills e aspira a diventare un’attrice famosa. Purtroppo la sua vita non è affatto perfetta: praticamente ignorata dai suoi genitori e circondata da persone false, Kimberly è una fredda manipolatrice che insieme alle sue amiche Randa e Brittany cerca di scatenare il caos nella sua scuola accusando il suo professore d’inglese di molestie sessuali. Per raggiungere i suoi scopi, Kimberly non esiterà a strumentalizzare parenti, amici e compagni di classe ma la guerra, perché Kimberly è in guerra contro il mondo intero, non è mai a buon mercato.


La mia (im)modesta opinione – Il diavolo porta una gonna grigia. Kimberly Joyce è la direttrice di un’orchestra grande quanto tutto il mondo. È disposta a tutto per arrivare dove vuole, non rinuncia a distruggere carriere altrui, sacrificare amicizie, andare a letto sia con uomini che con donne e tutto per far girare il vento dalla sua parte. Non c’è sadico compiacimento nel suo comportamento, Kimberly è più pratica. Non ama manipolare, è solo brava, bravissima a farlo. Insomma, le viene naturale. Girano leggende su come abbia mandato in tilt un computer che usava per il calcolo del Q.I. La sua mente è affilata e inesorabile come le lame di una falciatrice e poco importa se gli steli che sminuzza sono parenti, amici o amanti, tutti le cadono davanti come mosche. Non lo fa per cattiveria, non le piace ferire. Ferire gli altri è necessario. Amorale? Certamente. Il calcolo è il suo mestiere e nella matematica del successo l’altro equivale a uno zero, uno zero da moltiplicare, dividere o addizionare. Tutto è un numero.


Kimberly non è una cinica, dopotutto. Sa di dover fare sacrifici e li fa tutti in vista di un bene superiore, non c’è esaltazione narcisistica nel suo macchinare, non c’è vanteria infantile. Come lei stessa dice ci sono ragazze belle e promiscue quanto lei, ma lei si differenzia dagli altri per una cosa: ciò che lei chiama "the edge". The edge, il limite. Di cosa? Non si sa, ma chi vede i limiti di qualcosa, la vede nella sua interezza. Non possono esserci imprevisti, tutto è compreso nel computo. Basta un pizzico di fortuna, notevole talento (e Kimberly ne ha più di quanto si creda) e ogni palla finirà rotolando quietamente nella sua buca. Kimberly è il perfetto modello di psicopatico: una pantera tutta empatia simulata e cortesia di circostanza; priva di opinioni e parole proprie, ridice e copia all’infito quelle altrui. Mai cattiva, sempre arguta ma incapace di rimorso. L’unica cosa che mette sotto scacco questa regina è l’essere scoperta, l’essere giudicata. Le uniche lacrime che verserà saranno per se stessa, quando si renderà conto di aver sacrificato tutto per nulla e di non essere troppo diversa da uno di quegli spree killer che, nel film, ha compiuto un massacro in una scuola di Bel-Air.


Dice l’assassino: «Just like shooting the ducks in a carnival, you know? They go by a line, one at time and you’ve got your little rifle. Bam! Bam! Bam!». Così Kimberly che piange vedendo nello sguardo del killer lo stesso disperato vuoto che percepisce nel suo. Solo che se per qualcuno ci sono i proiettili, per Kimberly ci sono le idee. E nessuno è risparmiato, nemmeno se stessa, davanti alla finale inutilità del tutto. Ma, nonostante il personaggio di Kimberly appaia tanto drammatico, il film del dramma non ha che la parvenza mascherato com’è sotto le spoglie di una caustica e velenosa commedia liceale. Sì ci sono gli intrighi, sì c’è una rapida e incisiva escursione nel terreno del thriller legale ma la verità è che Pretty Persuasion fa ridere. Fa morire dal ridere. La Los Angeles del film è un luogo grottesco, comico se visto dall’esterno ma più che di comicità, riguardo questa pellicola, io parlerei di umorismo. Se il comico fa ridere in maniera abbastanza gratuita, l’umorismo fa ridere solo per accidente nello scavare le piaghe e le pieghe del mondo e della società.


Kimberly è sola, senza affetti veri. Il suo fidanzato, per sua stessa ammissione, non gli piace, lo tiene come si terrebbe un cane, le sue amiche sono oggetti carini che la fanno diventare verde d’invidia ma di cui sbarazzarsi è facile, facilissimo. L’aggressività è sfogata tramite un sarcasmo gustosissimo ma amaro. Le risate, quelle, sono assicurate. Ma, se all’inizio il film suona come una commedia alla Mean Girls, alla fine la storia vaga più dalle parti di un Cruel Intentions più umano e cupo. La scorrettezza e l'acidità delle idee incrina sempre la facciata sorridente e luminosa della teen comedy. Si va dalle battute antisemite del padre balordo e crapulone James Woods all’umorismo politicamente corretto che nasconde dietro di sé gli strali della sconvenienza più assoluta (meravigliosa la rimbeccata di Kimberly a un compagni di colore:  «Zitto Senegal!») . Pretty Persuasion è la storia di una beffa che finisce male, il divertente e saporoso crollo del muro delle apparenze che svela una realtà che forse faceva meglio a rimanere nascosta.



Il film non è certo privo di difetti. Cambiando registro, dal comico al tragico, circa a metà non riesce mai del tutto a spogliarsi delle vestigia della commedia e dunque il senso del tragico che ne impregna la parte finale è stranamente dissonante, attutito. La macchina filmica è perfettamente ben congegnata, lo script brillante, pieno zeppo di arguzie pungenti e comicità irriverente e irresistibile. Le grandi lodi però vanno alla meravigliosa Evan Rachel Wood, ai tempi soltanto diciassettenne, che gestisce una parte sicuramente molto più matura adombrando il resto del cast, la brillantezza dello script che sa ben gestire la transazione danzerina  fra tragico e grottesco e la grazia di una regia levigata che però non sfocia mai nel lezioso. Inoltre Pretty Persuasion è uno dei film più divertenti e cattivi che mi sia capitato di vedere, corrosivo come pochi e scorretto come rari, senza contare, poi, un cameo della meravigliosa Octavia Spencer, che appare come una donna intervistata in un programma televisivo.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Fratelli rispettivamente maggiore e minore del film sono la pietra miliare Cruel Intentions (1999) di Roger Kumble e Mean Girls (2004) di Mark Waters. Cugino di primo grado di Pretty Persuasion è il vansantiano Da Morire (1995) e altri lontani parenti sono Schegge di Follia (1989) di Michael Lehmann e il classico immortale The Crucible (in italiano La seduzione del male) in entrambe le sue versioni: la prima del 1957 adattata da Jean-Paul Sartre e diretta da Raymond Rouleau e la seconda, più sontuosa, del 1996 diretta da Nicholas Hytner e adattata dal grande Arthur Miller, autore, fra le altre cose, dell’opera teatrale originale. Altre vaghe arie di famiglia appaiono con Election (1999) di Alexander Payne, Hard Candy (2005) di David Slade, Le regole dell' attrazione (2002) di Roger Avary e La ragazza della porta accanto (1993) di  Alan Shapiro.


Scena cult – Tre. La telefonata erotica di Hank Joyce, padre di Kimberly, che viene origliata da quest’ultima e poi usata come strumento di ricatto, Kimberly che getta al cane i sonniferi del padre in un gesto di innocente crudeltà e il finale nichilista che vede Kimberly piangere davanti la televisione.

Canzone cult – Strana, bella musica abbiamo qui. C’è la sorniona samba Summer Rain di Smokey & Miho, il funky da blaxploitation Stiffed dei The SEX-O-RAMA Band e What Goes On dei The Velvet Underground.


2 commenti:

  1. non sapevo nulla di questo film.
    direi che vado subito a cercarlo, innanzitutto per evan rachel wood, e poi perché un film con uno stile tra cruel intentions, mean girls e da morire non posso proprio perdermelo!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il film ti piacerà, te lo assicuro. E' di una bastardaggine rara, rarissima.

      Elimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...