venerdì 31 gennaio 2014

DALLAS BUYERS CLUB (2013), Jean-Marc Vallée


USA, 2013
Regia: Jean-Marc Vallée
Cast: Matthew McConaughey, Jared Leto, Jennifer Garner, Denis O’Hare, Steve Zahn
Sceneggiatura: Craig Borten, Melisa Wallack


Trama (im)modesta – 1985. Ron Woodroof fa l’elettricista in una stazione petrolifera, è un uomo rude, intossicato da cocaina e metamfetamina, appassionato di rodei e sesso causale. È proprio una sciagurata passata con una tossicomane che gli procura l’infezione mortale: l’HIV. I medici non gli danno più di trenta giorni: il morbo è incurabile e solo in quel momento si stanno facendo test sperimentali con l’AZT, un nuovo farmaco. Ron riesce a procurarsene ma, dopo un periodo di miglioramento, le cose peggiorano. Gli viene consigliato un dottore messicano che gli dimostra come l’AZT sia meno efficace che pericoloso per i malati di AIDS. Non si tratta di eradicare il virus ma di aiutare un organismo il cui sistema immunitario è in crollo. Le vitamine e i farmaci necessari, purtroppo, tutti non tossici, non sono approvati dal governo americano. Aiutato dal transessuale Rayon, Ron costituisce il Dallas Buyers Club, che serve a procurare ai malati le loro medicine. Ma il governo e i medici ufficiali non vogliono mollare la presa...


La mia (im)modesta opinione – L’AIDS è una malattia scomoda. Quando esplose, negli anni ’80, colse il mondo impreparato. Il fatto che fosse diffusa fra omosessuali e tossicomani e imperversasse nei paesi del Terzo Mondo la trasformò nel marchio di Caino per milioni di disperati. Senza aggiungere poi le difficoltà nel trattamento di un virus sconosciuto e insidioso. Ma Dallas Buyers Club ci mostra di più. Se la novità della malattia, la sua virulenza, facevano (e fanno) brancolare le autorità mediche nel buio, i pochi spiragli di luce per i malati venivano uccisi dai loschi maneggi delle case farmaceutiche, che preferivano sintetizzare farmaci dai costi emorragici piuttosto che accettare approcci diversi ai problemi. E il film di Jean-Marc Vallèe (già regista di C.R.A.Z.Y. e The Young Victoria) racconta la storia di chi denunciò questi meccanismi, un profeta inascoltato in patria: Ron Woodroof.


Sarebbe anche interessante leggere il film come allegoria. L’AIDS ha cambiato tutto. Affrontarla non ha significato affrontare soltanto una malattia, ma anche quelle porzioni invisibili della società scomode per molti. L’AIDS è stata la più grande sfida della storia per generazioni e generazioni di miopi e biechi benpensanti. La storia di Dallas Buyers Club è una storia personale e, di riflesso, collettiva. Il cammino di un uomo che inizia come un relitto umano, balordo drogato e vizioso, e diventa un eroe, un condottiero, un uomo non solo capace di rimanere in sella al toro imbizzarrito della società in movimento ma anche di guardare senza paura il destino, vestito da clown serio, che troneggia in mezzo all’arena. La stessa metodologia alternativa che Woodroof propone è significativa della sua assunzione a eroe moderno: se i medici ufficiali vogliono con l’AZT sradicare il morbo, le nuove tecniche preferiscono accettarne la presenza e limitarsi a trattarlo.


Un approccio basato sulla tolleranza, dunque, e sull’apertura. È questo il cambiamento più importante che affronta non solo Ron Woodroof, omofobo all’inizio e crociato per una causa riguardante principalmente omosessuali alla fine, ma la società intera. Affrontare serenamente la malattia significa anche accettare i cambiamenti che essa porta nel mondo. E i cambiamenti che questa malattia ha portato nel mondo non sono nemmeno immaginabili. Grazie a questo male, ironicamente, i pregiudizi cadono come foglie morte e due membri della società che paiono vivere agli antipodi (un rude texano amante dei rodei e un transessuale) si coalizzano, diventano amici e alleati contro il vero nemico: l’avidità della società consumista, i maneggi degli alti papaveri dell’industria farmaceutica che controlla le loro stesse vite. E si scopre, ancora una volta, che legge e giustizia non sono che raramente la stessa cosa.


Lo script della coppia Borten-Wallack si fa forte di una narrazione cruda ed essenziale, una storia nuda e senza fronzoli. A narrarla s’impegna una regia poco virtuosistica, che preferisce trasmettere messaggi ed emozioni tramite un accortissimo uso del montaggio. La fotografia livida e il meraviglioso lavoro dei make-up artists, poi, consentono allo stellare cast di incarnare alla perfezione questa storia. Matthew McConaughey è, insieme a Leonardo Di Caprio, il nuovo Dio della recitazione. Non solo, come il suo collega che ho appena citato, le sue capacità attoriali paiono sempre più illimitate, ma anche la sua carriera sta spiccando un volo in salita verso il più alto dei firmamenti. Non meno infinito di McConaughey è il grandissimo Jared Leto, inedito nella parte truccatissima e ipermagra del transessuale Rayon.


I visi dei due attori principali, i loro corpi dragati dalla malattia danno carne e sangue alla pura sofferenza che ci trasmettono. Unico rimprovero che muovo al film di Vallèe, nonostante il suo indiscusso impegno, è l’eccessiva convenzionalità della storia, basata, alla fin fine, sul tipicamente idealista self-made man crociato per la sua causa. Ovviamente il film non è neppure lontanamente ruffiano in senso tradizionale, ciò che propone è una sorta di moralismo mordernizzato, con il sopradetto movimento di Ron da una vita basata su vizio/male a virtù/bene. Il vizio è didascalicamente mostrato tramite droghe e prostitute, la virtù è la tolleranza e l’apertura. Non che ci sia qualcosa di sbagliato in ciò, ma questa distinzione netta toglie complessità morale ai personaggi, senza però privarli per un attimo della loro dolorosissima intensità.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Naturalmente il classico Philadelphia (1993) di Jonathan Demme è una sorta di caposquadra del genere. Notevolmente più drammatico e angosciante è il documentario Body Without Soul (1995) di Wiktor Godrecki, che intervista un vero hustler minorenne nel suo letto di morte per colpa dell’immunodeficienza. Il male del secolo non poteva certo mancare nel grandioso affresco decadente di fine millennio Kids (1995) di Larry Clark né nel musical bohèmienne Rent (2005) di Chris Columbus. Ricordiamo anche il drammatico Buddies (1985) diretto dall’attivista Arthur J. Bressan Jr.


Scena cult – Il rodeo finale. Woodroof che attraversa la frontiera. La stanza piena di farfalle.

Canzone cult – Dei The Airborne Toxic Event abbiamo l’energica Hell and Back. Immancabile in un film con Jared Leto, poi, l’intevento dei 30 Seconds to Mars con la versione acustica di City of Angels.

12 commenti:

  1. Film molto intenso e due protagonisti strepitosi. Tifo davvero per loro.
    Di Caprio - diretto da Scorsese - è bravo come al solito e l'Oscar lo meriterebbe proprio, ma qui guardi Leto e McConaughey, la loro trasformazione, e dici: "Cavolo, se sono bravi." Sorprendenti.

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    1. Preferirei vincesse Di Caprio. Adoro McConaughey ma la sua è la classica metamorfosi da Oscar mentre Di Caprio è più un performer totale. Circa Jared Leto, deve avere l'Oscar. Sarebbe un delitto se non lo ricevesse.

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  2. Spero di riuscirlo a vedere nel weekend, lo aspetto fin dalla sua uscira in America! :)

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  3. Macché bravò, quando il film ti piglia! <3

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