mercoledì 27 giugno 2012

ACOLYTES (2008), Jon Hewitt


Australia, 2008
Regia: Jon Hewitt
Cast: Sebastian Gregory, Hanna Mangan Lawrence, Joshua Payne, Joel Edgerton, Michael Dorman
Sceneggiatura: Shane Krause, Shayne Armstrong, Jon Hewitt, James M. Vernon          


Trama (im)modesta – Mark e James sono due ragazzi vittime di abusi sessuali da parte di un feroce maniaco, Gary, che adesso si trova in libertà vigilata e minaccia di tornare a tormentarli. Un giorno, i due insieme alla fidanzata di James, Chasely, vedono un uomo che seppellisce qualcosa in un bosco. Riaperta la fossa i tre si ritroveranno davanti al cadavere di una ragazza scomparsa. Invece di chiamare la polizia, i ragazzi riescono a scovare l’assassino e lo ricattano: se non ucciderà Gary in ventiquattro ore loro andranno dalla polizia. L’assassino accetta ma non si sa mai quali strane alleanze possano formarsi in situazioni estreme e dove ci si può ritrovare quando ci si trova invischiati nel nero dell’animo umano.


La mia (im)modesta opinione – Jon Hewitt mi aveva già folgorato con il noir post-moderno X, un’odissea hard-boiled tutta inscatolata dentro una Sidney che mai era stata tanto simile alla Basin City di milleriana memoria. Mi aspettavo grandi cose anche da questo Acolytes e, devo dire, che nonostante il film mi abbia deluso fortemente, la regia di Hewitt non ha perso un solo colpo, non ha mai fatto scivoloni e si è mantenuta sempre a livelli iperbolici. Il problema è la parte finale dello script. Invece di cercare di infilare a forza nella trama già perfetta un colpo di scena, sarebbe bastato portare a termine la partita a scacchi in cui erano impegnati tutti i personaggi. Il gioco di psicologie, vendette e amori scritto in maniera minimale (quanto odio la retorica da film adolescenziale!) e girato con lo stile freddo e visionario di Hewitt era praticamente perfetto, poi gli sceneggiatori stanchi (non li chiamo incapaci: se si riesce a iniziare una sceneggiatura così si deve avere anche la capacità di farla finire come è iniziata) hanno deciso di cambiare pedine a metà del gioco.


La questione e le sue origini risalgono all’antichità: è possibile giudicare brutta un’opera che è bella nel complesso ma poi crolla miseramente sul finale? Ahimè sì. Cito il mio serial del cuore, Game of Thrones, quando viene detto: «If half an onion is black with rot, it's a rotten onion». Lo stesso vale per il cinema. Se un film termina con una clamorosa caduta di stile (non di regia, ma di script) il film cade tutto intero. Mi dispiace non poter salvare questo Acolytes ma per me il mondo è bianco o è nero. Peccato. Me lo ero goduto davvero, questo film, mi era tanto piaciuto, mi aveva intrigato questo pentacolo di personaggi che tirava i fili uno dell’altro ma le recensioni negative che il film ha ricevuto sono una punizione alla disonestà degli sceneggiatori. In un film, specialmente in un film come questo, giocare sporco è qualcosa di proibito, di sbagliato. Non ci si può permettere di gabbare uno spettatore che è stato così attento e non si può cambiare il campo di gioco da thriller psicologico a horror slasher in maniera così subitanea.


Lo ripeto è un peccato. La regia di Hewitt è praticamente perfetta: algida, onirica a tratti, capace di modulare i suoni per trasformarli in psicologie intere, capace di farci entrare nella pelle dei personaggi e nei loro incubi, capace anche di gestire cinque personaggi in un intreccio che si fa sempre più confuso (ma fino a un certo punto fa piacere) fino al naufragio finale. Il mondo descritto è visionario e misterioso: inquietanti e simmetrici filari di alberi altissimi, alteri cigni neri che muoiono impalati dalle frecce, paludi fredde e farfalle brillanti, sobborghi grigi e inquietanti, parchi giochi che paiono discariche, case come grotte di stoffa scura e arabescata, sconfinate e piatte periferie. Tutto un mondo onirico, allucinato e glaciale. Anche uditivamente il discorso vale: il rumore bianco della città che si ricrea in paura, musiche minimali e poi uno spigoloso, duro e ostinato silenzio. Acolytes è un film muto, dove interi concetti passano attraverso sguardi e gesti, uno schermo di ombre cinesi dal quale affiora liberamente il passato come lampo doloroso e pugnalata ancora fresca.


Bravissimi sono anche gli attori. Vi segnalo qui la giovane e bellissima Hanna Mangan Lawrence protagonista anche del successivo lungometraggio di Hewitt, X, nel ruolo di baby prostituta. Qui è ancora giovane, eppure sensuale alla maniera maliziosa e pia di una liceale che ha appena scoperto come usare il proprio corpo. Lo stesso vale per Sebastian Gregory, abbastanza bravo e inquieto, ma non per Joshua Payne, decisamente antipatico. Insomma Acolytes è come un fiero destriero purosangue che si è azzoppato per uno sciocco incidente. Bell’esemplare ma assolutamente inutile. Peccato, la forma è troppo bella per finire sprecata in una sostanza manchevole solo nel finale. Tutto sommato un film perdibile, dunque, ma voi guardatelo lo stesso. Hewitt sa star simpatico.


Se ti è piaciuto guarda anche... – I film come questo, che mescolano adolescenza moderna e profonda morbosità, sono rari, ancor più rari sono quelli di buona fattura, che non scadono in noiose trafile di luoghi comuni. Tra questi l’inquietante Suicide Club (2001) di Shion Sono, uno dei film più disturbanti che abbia mai visto, ha svariate affinità con Acolytes, ma anche il liscio Somos lo Que Hay (2010) di Jorge Michel Grau, il più forte The Woman (2011) di Lucky McKee, lo stupendo ma caotico Bully (2001) di Larry Clark e il glaciale Funny Games (2007) di Michael Haneke.


Scena cult – Di sicuro il momento in cui l’assassino e Gary si alleano mentre, a distanza, Chasely e James fanno sesso in maniera concitata e inquietante e la scena in cui i ragazzi distruggono un’automobile: just pure mindless vandalism.

Canzone cult – Musica “piccola” e minimale per una storia dal sapore arido e pietroso del cemento. Il pezzo elettronico indie Alone Again dei Teenager, bella anche la minimale Lonely Hand degli Hot Little Hand, la rockettara Candy Cut degli I Heart Hiroshima e, per ultima, non dimentichiamo l’allucinata Atlas dei Battles

4 commenti:

  1. Che bello, credevo di essere stata l'unica folle (o una dei pochi) a vederlo, e invece ecco un'altra recensione!
    Concordo, formalmente il film è di una bellezza rara, ma sotto sotto la sostanza è poca. Una bellissima occasione sprecata, insomma.

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    1. Quando un film così finisce male fa sempre arrabbiare un poco, in effetti

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  2. una possibilità sembra meritarla, anche se a questo punto per quanto riguarda il finale devo aspettarmi il peggio... :D

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    1. Una chance la merita di sicuro. Ma guardati X, io l'ho amato molto di più

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