mercoledì 6 giugno 2012

GOCCE D’ACQUA SU PIETRE ROVENTI (2000), François Ozon


Francia, 2000
Regia: François Ozon
Cast: Berbard Giraudeau, Malik Zidi, Ludivine Sagnier, Anna Levine-Thomson
Sceneggiatura: Rainer Werner Fassbinder, François Ozon


Trama (im)modesta – Léopold (Giraudeau in veste di homme fatale) è un dongiovanni bisessuale che porta in casa e seduce il giovane Franz (Zidi) convincendolo a lasciare la sua ragazza, Anna (Sagnier, che anche combinata come una catechista zitella riesce a essere una bomba sexy di dimensioni pazzesche). All’inizio la seduzione funziona, poi Léopold comincia a tirare fuori la sua personalità predatrice e trasforma Franz in un deferente sottoposto. Le cose si complicano quando Anna fa il suo ritorno  e finisce a letto con Franz e il transessuale Vera (inquietante e sensuale Anna Levine-Thomson), ex-compagno/a di Léopold che per lui ha cambiato addirittura sesso, entra in scena a reclamare l’amore dello sciupafemmine (ma anche sciupamaschi).


La mia (im)modesta opinione – Reiner Werner Fassbinder, catecumeno del Nuovo Cinema Tedesco degli anni ’80, regista, attore, sceneggiatore, drammaturgo, produttore e chi più ne ha più ne metta (vero, praticamente montava e fotografava i film da solo), spentosi (probabilmente) suicida all’età di 37 anni scrisse il dramma da camera Tropfen auf heisse Steine a vent’anni e non lo mise mai in scena né al cinema né a teatro. A riesumare questo dramma erotico-borghese a più di trent’anni di distanza è François Ozon, francese, da sempre attratto dal cinema/teatro e dalle tematiche LGTB, e il risultato è un filmetto straniante, bislacco, velato di isterismo ed erotomania, prezioso, per certi versi, con quel suo fascino per i cromatismi arditi, con le sue musichette alienanti e le sue donne sensuali e principesche.


Ozon è consapevole della finzione teatrale di cui la vicenda è imbevuta e l’ambienta in un appartamentino che è il sommo paradigma dell’arredamento anni ’70, un luogo del tutto chiuso, dove nemmeno le finestre si possono aprire e imbriglia la carica eversiva del film in una guaina quasi rigida, schematica. Non ci sono effettivi movimenti di camera ma tagli netti e precisi, al massimo la camera si muove con eleganza algida, con la grazia di una ballerina meccanica. Gocce d’acqua su pietre roventi è un film rigidamente poligonale, fortemente coeso e tenacemente geometrico. Il risultato è chiaro: lo straniamento più totale. Non si può guardare questo film e afferrare il senso di parole o gesti perché è impossibile incasellarli in un contesto quotidiano, a noi familiare. Quell’appartamento chiuso è una specie di palco umano dove si muovono a scatti i pupazzetti manovrati con freddezza appassionata da Léopold, il grande burattinaio.


E parliamo di Léopold, allora. Giraudeau è straordinario nella sua interpretazione in stile Hannibal Lecter di un libertino gelido e inesorabile. All’apparenza il classico attempato satiro viscidone, con i suoi salamelecchi viscosi, i suoi sguardi sbavanti e lampeggianti di fregola, la sua caramellosa affettazione, ma in realtà le sue blandizie sono più perforanti dei chiodi e delle frecce e riesce a piegare al suo volere e giostrare a suo piacimento tutti i personaggi. Gli basta una conversazione da nulla per “convertire” il giovane Franz e portarselo a letto e qualche settimana per trasformarlo in uno zerbino ubbidiente e piagnucoloso. Ci mette ancora di meno con Anna, che trascina a letto in un battito di ciglia e ci è riuscito in modo clamoroso e tremendo con Vera, che per lui ha addirittura cambiato sesso e continua ad amarlo e a cercarlo come una bambina sperduta.


Tutti gli attori sono all’altezza del loro testo (che è di assoluta qualità). Stupore assoluto per il giovane Malik Zidi, efebo triste, dalle sembianze feline e dalle (cito testualmente) “gambe muscolose” cotto a puntino e messo in ginocchio dai lacci psicologici di Léopold, stupendo nella sua sensualità innocente e nel suo fare malinconico. Poi vengono le due signore: da una parte Ludivine Sagnier, ninfetta voluttuosa e morbida, dall’altro Anna Levine-Thomson, una specie di Amanda Lepore meno brutta e trash, quasi imperiosa e matronale nei suoi sbalorditivi, statuari lineamenti degni di una sfinge ricoperta da una valanga di make-up. L’affiatamento fra i membri cast è totale, stupendo, una chimica irrazionale ma esaltante che riporta in vita il testo in maniera incredibilmente vibrante.


Gocce d’acqua su pietre roventi è in definitiva un film piccolo ma profondamente intelligente e, a suo modo, incredibilmente dinamico e denso, intriso fino al midollo nello spirito pseudo-cervellotico degli anni ’60 e ’70 (non dimentichiamo che il testo risale al 1965), non esente da certi difettacci (dura pochissimo, praticamente non si capisce cosa sta succedendo) che possono sempre essere perdonati. Dunque un film non perfetto ma comunque potentemente paraintellettuale in quella maniera deliziosa e saporita in cui solo gli autori francofoni riescono a essere, mescolando anarchia radical-chic e ironia isterica, per formare intrecci a un tempo scoppiettanti e riflessivi.


Se ti è piaciuto guarda anche...Breakfast on Pluto (2005) di Neil Jordan, Transamerica (2005) di Duncan Tucker, XXY (2007) di Lucìa Puenzo, Tiresia (2003) di Bertrand Bonello e Kinky Boots (2005) di Julian Jarrold per la tematica trasngender trattata con l’intelligenza che gli spetta. Per i film a tematica LGTB più acuti cito Shelter (2007) di Jonah Markowitz, Boy Culture (2006) di Q. Allan Brocka, Strapped (2010) di Joseph Graham e Weekend (2011) di Andrew Haigh. Se volete recuperare il dramma da camera potete recuperare il bizzarro e stilosissimo 8 donne e un mistero (2002) sempre di François Ozon, Sleuth (2007) di Kenneth Branagh e lo stupendo La morte e la fanciulla (1994) di Roman Polanski.


Scena cult – Lo stupendo finale dove Vera cerca di aprire faticosamente una finestra che non si aprirà mai, come un personaggio di teatro che sbatte il muro contro la quarta parete.

Canzone cult – La meravigliosa e becerissima Tanze Samba mit Mir di Tony Holiday, che non è altro che la versione tedesca della nostra A far l’amore comincia tu firmata da Raffaella “Madonna del trash” Carrà, che diventa la protagonista di un siparietto delirante e delizioso. Impagabile.

4 commenti:

  1. Tanto dura appena un'ora e un quarto! Pratico, oltre che carino.

    RispondiElimina
  2. Questo mi manca nonostante segui Ozon e il cinema francese. è lì nel mio pc da qualche anno, prima o poi lo vedrò!

    RispondiElimina
  3. Una visione (divertita) la merita di certo. Non fosse altro che per quel minuto e venti di balletto a ritmo di canzoncina disco-kitsch!

    RispondiElimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...