giovedì 25 ottobre 2012

MAGIC MIKE (2012), Steven Soderbergh


USA, 2012
Regia: Steven Soderbergh
Cast: Channing Tatum, Alex Pettyfer, Matthew McConaughey, Cody Horn, Olivia Munn
Sceneggiatura: Reid Carolin


Trama (im)modesta – Mike è uno spogliarellista trentenne con un paio di sogni nel cassetto. Lavora in un club di Tampa, Florida; alle dipendenze del quarantenne Dallas, consumato mestierante in capo di striptease, insieme ai suoi colleghi più o meno riempitivi della pellicola (ma di questo parleremo dopo). Un giorno, durante il lavoro diurno, Mike incontra Adam, diciannove anni e zero soldi in tasca. Gli propone di lavorare al suo club come stripper e lui accetta. Mike inizierà Adam a una vita scintillante e ipersatura; che, alla fine, comincerà a corroderlo.


La mia (im)modesta opinione – Si possono dire molte cose su Magic Mike, ma non si può certo dire che manchi di originalità. Se c’è qualcosa che manca al film, devo ammetterlo, è il nerbo (il nerbo vero, la vera crudezza) anche se riesce, specialmente nel finale, a dipingere il quadro sontuoso di una malinconia grande, inspiegabile – una malinconia che si nasconde dietro lustrini, mutande di dubbio gusto e grotteschi numeri di spogliarello che coinvolgono signore di tutte le forme ed età. Motore immobile e Issione di questa sorta di piccolo planetario cinematografico è il Mike di Channing Tatum, che vive di succosa rendita, ma di cui dirò più tardi.


Altra pedina sul campo di gioco è Alex Pettyfer, che interpreta assai bene, in verità, il giovane Adam, un personaggio francamente antipatico. Non che l’antipatia del personaggio sia voluta dagli autori, certo, ma il personaggio non può che risultare antipatico nel quadro di squallore umano in cui si iscrive. Agnello in mezzo a un branco di lupi all’inizio, va bene. Lupo fra i lupi poi, ancora meglio. Ma trasformarlo in un ragazzino crapulone e imprudente, uno di quei gaudenti senza ardore, belloccio, per di più, me lo fa stare proprio antipatico. Poco importa del lungo, triste sguardo che Pettyfer ci regala a fine film o della bravura di un attore la cui carriera è forse troppo influenzata dal fisico scolpito e dal bel viso: il suo è il ruolo scomodo.


Il resto del cast, Matthew McConaughey a parte, è puramente riempitivo. La sorellina di Adam (di cui non ricordo nemmeno il nome) è un personaggio squallido recitato con lo sguardo di un pesce lesso. Giusto la figurante Riley Keough è protagonista di inquadrature parecchio suggestive. I colleghi stripper fanno la loro figura ma sono puramente accessori, e si vede. Non che questo pregiudichi il film, solo che fa pericolosamente salire l’indice di congestione e piattezza che si aggira per tutto il film – sensi questi, la congestione e la piattezza, che sono quasi ricercati dalla regia in quei campi lunghi silenziosi, nelle albe mute, nel silenzio delle isole sul fiume. Quella che abbiamo davanti è la Florida in tutta la sua coloniale, troppo matura gloria.


Grandezza della pellicola: Matthew McConaughey. È una sorpresa: di solito lo odio da impazzire. In questo film tanto fa e tanto dice che quasi mi sta simpatico. Una dolcezza che provo verso un uomo che è finito in trappola, chiuso dentro un guscio di noce che gli pare il mondo intero, pericolosamente vicino a una linea (la gioventù tramonta per tutti) che non vuole nemmeno vedere e ricopre di un finto entusiasmo per il suo lavoro, una felicità fatta col silicone e l’anabolizzante. Potrebbe anche darsi che si meriti una nomination all’Academy come migliore non protagonista. È lui la gran stella della pellicola; una stella al tramonto, certo, ma pur sempre esplosiva e accecante.


Ho molto apprezzato, nel film, il non concentrarsi sul lato erotico dello spogliarello quanto sul suo essere, in definitiva, grottesco, insensato, persino squallido. Se per le controparti femminili dei nostri protagonisti tutto il gioco si basa su giochi suadenti, quasi raffinati, per gli stripper di Magic Mike tutto si riduce a un involontariamente buffo sovraccarico di innuendi sessuali (spesso non troppo velati). No, il film non denuncia l’oggettivizzazione del corpo di questi poveretti, altrimenti sarebbe stato molto più forte e crudo… e io l’avrei apprezzato di più. Il problema è proprio questo: non si capisce di cosa il film stia parlando, manca uno scheletro saldo, una struttura portante. Nonostante la bravura di Soderbergh, Magic Mike sembra una storia di qualcosa, ma non si sa di cosa.


Non parlo per facile moralismo ma per senso della drammaturgia. Uno spettacolo deve essere costruito intorno a qualcosa, si dice che è buono se è costruito intorno a qualcosa di forte. Magic Mike è costruito sul nulla: quello che ci resta, dopo la visione, è l’alone di una tristezza, un senso di piattezza inquietante, il potere corrosivo di un mondo che non può che attirare ma che nemmeno è condannato o celebrato. Né il film è lo studio su un personaggio specifico, dato che né Mike né Adam sono oggetto di un’analisi vera e propria. Infatti è importante, per un film, possedere dei dialoghi ben scritti e un’evoluzione originale (e Magic Mike la ha) ma se manca la trama tutto si perde, almeno parzialmente. Dunque mi chiedo: Steven Soderbergh, qual è il punto?


Se ti è piaciuto guarda anche... – Per una migliore trattazione di temi come lo sfruttamento sessuale, la malinconia e la solitudine abbiamo due film, da me recensiti, che vanno sotto il nome di My OwnPrivate Idaho (1991) di Gus Van Sant e di Body Without Soul (1996) di Wiktor Grodecki. Per la figura del macho man che affronta l’inarrestabile declino, c’è il mitico Frank Mackey di Tom Cruise in Magnolia (1999) di Paul Thomas Anderson. Inquietante filmetto con al centro il mondo delle stripper è Exotica (1994) di Atom Egoyan; mentre per una gemellanza con Magic Mike il solo film immaginabile è il Coyote Ugly (2000) di David McNally.


Scena cult – Le inquadrature del bacino del Missisipi, tristi e colossali, e la meravigliosa scena del club; come anche lo spogliarello selvaggio del vecchio Dallas.

Canzone cult – Ovviamente la Victim di Win Win e Blaqstarr.

6 commenti:

  1. io l'ho visto più come una commedia, nonostante nel finale si faccia un po' più serio.
    è un ritratto di un determinato mondo superficiale, l'impressione è che manchi qualcosa per essere un film davvero grandissimo, ma io ho apprezzato particolarmente la mancanza di una morale che avrebbe appesantito il tutto.

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    1. E in questo sono d'accordo con te. Il problema è che non capisco cosa faccia stare insieme il film. La storia riguarda chi? E se non è un chi, cosa? Il discorso del film è costruito su niente. Insomma la trama è alquanto scialba. Molto ben fatto, però. La morale avrebbe appesantito e sono contento che non ci sia, ma per una mancanza di morale il mondo degli spogliarellisti doveva comunque essere meno patinato, più crudo, tremendo. Come immagino che sia.

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  2. Film ben fatto, e nonostante il Cannibale continui a vedere solo il divertimento nelle cose, decisamente più profondo - e malinconico, come scrivi tu - di quanto sembri.

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    1. E questo è l'aspetto migliore del film. Peccato per la struttura esilina.

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  3. Un film decisamente piatto...e superficiale..non ci trovo nulla di acuto e profondo

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    1. Sì, in effetti la sensazione è quella di un decentramento totale, il film è alquanto inconsistente.

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