mercoledì 1 maggio 2013

LE STREGHE DI SALEM (2012), Rob Zombie


USA, 2012
Regia: Rob Zombie
Cast: Sheri Moon-Zombie, Judy Geeson, Meg Foster, Patricia Quinn
Sceneggiatura: Rob Zombie



Trama (im)modesta – Heidi è la DJ di una stazione radio locale, a Salem, nel Massachusetts, che riceve un giorno un misterioso vinile contenente una musica strana ed ipnotica. Ciò che Heidi non sa è che quella musica che tanto la perseguita e le procura incubi e visioni, è il tramite attraverso il quale gli spiriti delle streghe di Salem vogliono tornare nel mondo, portando con loro l’Anticristo e, cosa più inquietante, è proprio il grembo di Heidi il vettore prescelto per far nascere sulla terra il figlio del Diavolo.


La mia (im)modesta opinione – Amante come sono di Rob Zombie, aspettavo con grande trepidazione questo Le Streghe di Salem, stuzzicato oltre ogni immaginazione da un trailer che prometteva sontuosità senza fine e sommi orrori. Di qui il mio allarmato disappunto nel sentire che il film che tanto mi dava a sperare veniva variamente stroncato nel mondo dei blog e non solo. Decido così di vederlo immediatamente, la situazione lo richiedeva. E, dopo averlo guardato, posso dire che mi trovo in parte concorde con i miei buoni colleghi, in parte discorde. Mi spiego meglio: Le Streghe di Salem è (anche strutturalmente) un film d’exploitation anni ’70 trascinato alla nostra epoca e girato con uno stile più barocco e smaltato. Tutto qui, davvero, dato che la storia della pellicola ha la stessa inconcludenza che avevano i film di Argento e Fulci, condita da una simile visionarietà iperbolica ma, nel nostro caso, con un sovrappiù di raffinatezza e mestiere.


Sorvolando sulle comunque discutibili mancanze di bravura recitativa da parte dei protagonisti, il problema di base del film è la sceneggiatura che prende slancio, pare doversi muovere con maestà ma poi crolla sul finale, s’accascia e langue. Si capisce bene che tutta la vicenda, né spiegata né ben condotta, è una scusa per permettere a Zombie di tirare fuori un videoclip di ars diabolica lungo un’ora e mezza mentre trama e personaggi sono declassati a sgraditi ma nondimeno necessari accessori e giacciono dunque negletti in fondo al film senza che a nessuno importi veramente di loro. Eppure l’incuria in cui giacciono trama e protagonisti è voluta, quasi ricercata; e lo si vede dalla stessa sostanza del film stesso che ricopia fino all’ultimo dettaglio quelle pellicole di serie B che ora trovano in Le streghe di Salem un gemello moderno. Ma se in quelle pellicole la povertà di mezzi e la latenza ai margini del mercato suggerivano brillanti spunti estetici, qui Zombie scoperchia l’intera pletora dell’iconografia horror degli anni passati creando un pastiche di lusso, una vera sistina d’orrori.


E, si sa, cosa non perdonerei io per uno stile tanto iperteso e metamorfico? Le streghe di Salem è una gioia per gli occhi, un’esplorazione (quasi) a tutto tondo nell’iconografia satanista dalle origini medievali fino ai giorni più moderni. Che importa la secondarietà della trama a un film così visivamente spettacolare? Il sabba di Zombie sembra uscito dagli incubi di Goya e Hans Baldung con le sue esagitazioni isteriche e la violenta e dilangante psicosi; la visione finale del diavolo, poi, ambientata fra i pandemonici loggiati del Los Angeles Theatre è una vera apoteosi di bellezza e stortura. Lo stile è puramente superficiale? Poco ci importa, basti pensare alla sconvolgente marea di film la cui profondità è rovinata da un’imperdonabile sciatteria o quelli che vorrebbero essere profondi ma non riescono a cavare un ragno dal buco (qualcuno ha detto Antichrist di Lars von Trier?). Grande film? No, Zombie è molto lontano dal girare il suo opus magnum ma un caposaldo d’estetica horror da guardare, pur con tutti i suoi difetti e magagne.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Non ho troppo apprezzato le escursioni di Rob Zombie nel mondo dei remake, per cui consiglierò in questa sede solo i suoi primi due film: La Casa dei 1000 Corpi (2003) e La Casa del Diavolo (2005). Per un horror in purissimo stile vintage, c’è poi la chicca The House of Devil (2009) di Ti West mentre se si vuole visionare un horror satanico forte almeno quanto Le streghe di Salem, il cult imprescindibile è lo “sporchissimo” Alucarda, la hija de las tinieblas (1977) di Juan L. Moctezuma. Abbiamo poi la perla nipponica Jigoku (1960) di Nobuo Nakagawa e il film amato da Rodriguez e Tarantino: Satanico Pandemonium a.k.a. La novizia indemoniata (1975) di Gilberto Martínez Solares.


Scena cult – Il sabba e il consesso dei demoni nel palazzo rosso.

Canzone cult – Oltre alle All Tomorrow’s Parties e Venus in Furs dei Velvet Underground e al sempre sublime Lacrimosa di Mozart, la disturbante musica delsabba delle streghe.

6 commenti:

  1. al di là degli ovvi difetti di sceneggiatura e recitazione, io l'ho trovato anche esteticamente di una notevole bruttezza.
    rob zombie per me dovrebbe bruciare all'inferno :)

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    1. Sapevo di contraddirti al massimo con la mia recensione. Diciamo che il suo prossimo film sarà il verdetto finale.

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  2. ottima recensione, concordo in pieno, un film non privo di difetti, ma affasciante e grazie per aver citato quella merda di Antichrist, quello si che farlocco in tutto, e non capisco perchè ci si accanisca così tanto con Rob e venga osannato (non da molti per fortuna) quel malato, nazista e becero di Von Trier.

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    1. Nonostante tutti i suoi vari difetti (e sopra ogni altro la presunzione), Von Trier non è un cattivo regista come Antichrist non è un cattivo film. Il problema di Antichrist è la trama delirante, che fa sovvenire la noia. Chi poi tra i due sia meglio, è cosa indiscussa.

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  3. Curioso, l'ho pubblicato anche io da poco.
    Da sostenitore di Zombie, questo film mi ha dato la conferma del suo status di sòla e meteora. Una merdazza che ho anche io accostato al peggio di Von Trier, solo con un talento molto minore.

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    1. Anche se il film è accostabile a Von Trier, va ricordato che il danese usava l'estetica horror per spiegare la sua filosofia, Zombie la (ri)usa per il puro gusto di fare dell'estetica. Questo è un film di pura superficie: vuoto, ma non per questo meno delizioso. Ovvio che una sceneggiatura compiuta avrebbe fatto un capolavoro.

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