lunedì 30 aprile 2012

MAGNOLIA (1999), Paul Thomas Anderson


USA, 1999
Regia: Paul Thomas Anderson
Cast: Jason Robards, Philip Seymoyur Hoffman, Tom Cruise, Julianne Moore, William H. Macy, John C. Reilly, Melora Walters, Philip Baker Hall, Jeremy Blackman
Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson


Trama (im)modesta – Los Angeles. Un ricco produttore televisivo (Robards), ormai sul letto di morte, circondato dalla giovane moglie (Moore) rosa dai sensi di colpa per averlo sposato solo per il denaro e da un infermiere (Hoffman), chiede di poter rivedere il figlio perduto: Frank (Cruise) che, dopo essere stato abbandonato dal padre, si è riciclato come guru del machismo e del maschilismo. Intanto un attempato conduttore televisivo (Hall) al cui programma partecipa il triste bambino prodigio Stanley (Blackman) scopre di avere un cancro alle ossa che lo ucciderà in pochi mesi e cerca di recuperare il rapporto perduto con la figlia cocainomane (Walters) che, nella sua disperazione, incontra un poliziotto bietolone, Jim (Reilly) proverà a uscire dalla solituidine. A questi si unisce un ex-enfant prodige dei quiz televisivi, caduto in disgrazia, derubato dai suoi genitori che cerca di fare colpo su un atletico barista.


La mia (im)modesta opinione – Un’opera, Magnolia, che, letterariamente, può essere solo paragonata a La Commedia Umana di Balzac, ovvero una serie di romanzi, racconti e saggi che hanno l’intenzione di descrivere la realtà tutta a livello enciclopedico. un’opera dove i personaggi si rincorrono, si scontrano, si incrociano. Lo stesso può essere detto per Magnolia, un film che non è cinema ma è la Vita, racchiusa in un solo, mastodontico giro di valzer che ci regala una visione a trecentosessanta gradi sia della vita che dell’arte. In Magnolia si mescolano infatti le suggestioni di tutti i generi: l’ansia del thriller psicologico, la commozione del dramma umano, lo struggimento della love story, le risatine a fior di labbra della commedia brillante, i guizzi di immaginazione del film sopra le righe.


Anderson strizza ogni minuto disponibile. Non c’è un’inquadratura che vada sprecata, una scena di troppo, un dialogo inutile. Tutto è funzionale, ogni parte è saldata con forza alla parte precedente e a quella successiva. Questo potrebbe far accostare Magnolia alle opere di Wagner e al loro horror vacui. Un film come questo, a dire il vero, non dovrebbe essere nemmeno commentato, per due motivi: il primo, una pellicola del genere si commenta benissimo da sola, è troppo grandioso per non lasciare a bocca aperta; il secondo, davanti a questo film ogni altra critica e ogni altro film si rivelano riduttivi, limitati, incompleti.


Magnolia è tutto. Condensa tutto, parla di tutto, vede tutto. La sua realtà è a tutto tondo, descrive ogni momento della vita umana, dall’infanzia fino alla vecchiaia, toccando tutti i temi possibili: la morte, le dinamiche familiari, la gloria, la vanità delle cose del mondo, il caso e la provvidenza divina, l’amore, la disperazione, la colpa, la decadenza, il tradimento. Non c’è un argomento che non sia scandagliato, approfondito, scavato fino al midollo e poi analizzato, studiato con minuzia e chirurgica precisione, suddiviso nelle sue parti più infinitesime e poi ricollegato all’insieme. Nella trama del film non c’è nulla di esaltante, eppure il film lo è, perché contiene tutto ed immerso in una filosofia profonda, amara ma puramente genuina che ci colpisce dritto al cuore.


Dal punto di vista della cinematografia, Magnolia risulta ancora una volta impeccabile. Sontuosi movimenti della camera, primi piani che sono ritratti fiamminghi (Julianne Moore qui batte tutti, è la donna più perfetta che abbia mai visto sullo schermo), musiche enormi e prostranti che lasciano svuotati e adoranti, sequenze autenticamente spettacolari, sopra le righe ma non per questo meno plausibili. I personaggi di Magnolia fanno molto metacinema: sanno di essere sopra un palcoscenico ma, al tempo stesso, sanno che quel palcoscenico è la realtà o la finge con aderenza pressoché perfetta. Le interpretazioni degli attori sono perfette fino al minimo dettaglio: stupendi sono Tom Cruise, Julianne Moore, il piccolo Jeremy Blackman e Melora Walters, tutti gli altri sono comunque ad un livello di bravura indicibile, che molti altri non potrebbero mai sognare di raggiungere.


Di Magnolia non si può dire altro. Bisogna vederlo, ma più che vederlo lasciarsi sopraffare dalla valanga delle sue scene e dei suoi personaggi, dalla perfezione delle sue inquadrature, dallo sfolgorio dei suoi dialoghi. Magnolia uscì nel Dicembre del 1999: quale film migliore per coronare il ventesimo secolo e inaugurare il ventunesimo? Ma credo che, fino ad ora, questo film rimanga ineguagliato nella sua esplorazione totale e perfetta della realtà umana, tutto il resto, al confronto, è solo uno scarso frammento.


Se ti è piaciuto guarda anche... – I film omnicomprensivi come Magnolia son pochi. Tra i più importanti annovero Requiem for a Dream (2000) di Darren Aronofsky, spaccato allucinato e visionario della più cruda fetta di realtà: quella dei drogati, dei caini e dei disperati; il gigantesco film a episodi (in realtà un insieme di dieci mediometraggi) Decalogo (1989) di Krzysztof Kieślowski, immenso affresco di un mondo alla ricerca di un Dio che ha perduto; il caotico e coloratissimo Roma (1972) di Federico Fellini, sterminato inno d’amore alla vita che anima incessante la Città Eterna; l’emotivo Crash (2004) di Paul Haggis e, per finire, il capolavoro America Oggi (1993) di Robert Altman.


Scena cult – Assolutamente il momento pseudo-musicale in cui tutti i protagonisti canticchiano a fior di labbra la Wise Up di Aimee Mann.

Canzone cult – Le musiche di Jon Brion sono semplicemente perfette, nel loro equilibrio fra epica e lirica, però una canzone mi ha colpito più di tutte ovvero la stupenda One di Aimee Mann (che ha cantato quasi tutte le canzoni della soundtrack) che riflette in termini infantili ma enigmatici i complessi significati di tutto il film. «One is the lonliest number that you’ll ever do».

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