lunedì 20 agosto 2012

THE DOOR IN THE FLOOR (2004), Tod Williams


USA, 2004
Regia: Tod Williams
Cast: Jeff Bridges, Kim Basinger, Jon Foster, Elle Fanning, Mimi Rogers, Bijou Phillips
Sceneggiatura: Tod Williams


Trama (im)modesta – Ted Cole è un famoso scrittore e illustratore di libri per bambini che vive a Long Island insieme alla figlioletta di quattro anni, Ruth, e alla moglie Marion, da cui sta per divorziare. L’unione della famiglia Cole è andata frantumandosi da quando i due figli maggiori di Ted e Marion sono tragicamente morti in un incidente d’auto lasciando Marion pressoché impazzita e Ted ubriacone e fedifrago. Quando a Ted viene tolta la patente per guida in stato di ebbrezza, a casa Cole arriva lo studente universitario Eddie, aspirante scrittore, che fungerà sia da autista che da assistente a Ted. Ben presto, però, Marion ed Eddie allacceranno una relazione che finirà per degenerare, distruggendo per sempre la famiglia di Ted.


La mia (im)modesta opinione – «The horror, the horror», così mormorava il morente Mr. Kurtz con gli ultimi aliti di vita strappati a coppia ora alle feroci febbri africane ora alle trafitte dell’animo martoriato da morte e terrori. Ed è da un singolo, macabro dettaglio, da una microscopica grinza della storia – una grinza sepolta dalle nevi di un inverno lontano ma che arriccia, con la profondità delle sue pieghe, anche la levigata superfice del presente – che la storia sprigiona ed effonda. Quale sia la natura della sopradetta grinza, cosa la grinza rappresenti e perché, è un arcano che è meglio non svelare e che lascio all’ipotetico spettatore come risolutiva scoperta posta alla fine di questa filmica Corona di Gerione: d’oro massiccio all’apparenza, sì, ma riempita per pigrizia, sciocchezza o avidità di truffaldino argento. Insomma, senza virar troppo al poetico, diremo che The Door in The Floor è un bel film, un film bellissimo, ma che sarebbe stato degno di un maggiore sforzo da parte dell’autore/regista che ha partorito un bambino sano, sì, ma un po’ sotto peso. Solito, odioso caso da «È intelligente ma non si applica». Stupenda pellicola, sì, ma che, specialmente nella parte centrale, si perde un poco e lascia minuscoli nodi irrisolti, senza approfondire a dovere i caratteri e le vicende e abbandonando il lirismo della prima parte per il più crudo realismo della seconda.


The Door in The Floor è il riadattamento della prima sezione del romanzo del grande John Irving Vedova per un anno. Insomma, la storia che il film ospita per tutta la durata delle sue due ore è in realtà solo la prima sezione di un più grande romanzo che di sezioni ne ha tre e ha per centro Ruth Cole, qui relegata a un ruolo importante ma sostanzialmente marginale. Non che ci sia però, per questo, bisogno alcuno di sentire, sopra questo film, un qualche odore di adultero e falsificato perché il trascolorare delle vicende del libro in quelle del film, il loro trasmutarsi e cambiar forma e immagine migliora, per così dire, il tessuto originale del testo, facendolo più umano e colorando di un salutare colorito i pallidi incarnati dei machiavellici intrighi che Ted Cole allestiva in Vedova per un anno. Il dramma della famiglia Cole, dunque, ci è presentato in tutta la sua umanità, in tutta la sua fragilità più densa e dolorosa: c’è la stolida alienazione di Ted, bercione e femminaro che cerca il proprio posto nel mondo recitando all’infinito se stesso, in fuga da chissà quale colpa; c’è il pietrificato orrore di Marion (inaspettatamente, il vero motore tragico della storia); c’è la monomania memoriale della piccola Ruth,  ossessionata dal ricordo prenatale dei fratelli che non ha mai conosciuto e di cui, forse, sa di essere la poco apprezzata sostituta.


Esiste, all’interno del film, tutto un sotteso fatto di oscure rispondenze fra natura e cultura, mascherati simbolismi (cosa sta a significare la porta nel pavimento da cui, alla fine, esce anche Ted?) e una appassionata, per quanto poco affannosa, carnalità che coinvolge tutti i protagonisti, dallo scrittore Ted che gira sempre nudo o mezzo nudo a sua moglie Marion che seduce – per pietà o per contorta brama incestuosa? – il giovane e tormentato Eddie, anche lui perseguitato da uno strano rapporto con il suo corpo, al pari della folle modella di Ted, la signorina Vaughn. Oltre a tutte le possibili chiavi di lettura (che richiederebbero un’analisi più lunga della mia voglia di scrivere e della vostra tolleranza al leggere) una marca sicura è che The Door in The Floor è un film malinconico, triste in maniera quasi sublime, eroica. Ogni personaggio è pungolato dallo spettro di un qualche passato, visibile o invisibile che sia, e gli incubi della notte si risolvono nell’uggia mortale del giorno, catturata alla perfezione da una fotografia dolce, tiepida e tutta odorosa di morte e disfacimento e gli spettri del passato riverberano all’infinito nei mille ritratti dei gemelli appesi in ogni stanza di casa Cole, ripercorse ogni notte, a mo’ di scongiuro, tributo e via crucis, dalla piccola Ruth che ne rinarra ogni volta storie e aneddoti annessi, finendo per impararli a memoria.


Sorvolando sull’interpretazione magistrale di Jeff Bridges, che non andrebbe neppure commentata e che forse avrebbe meritato qualche premio in più (m’arrischio: un Oscar, forse?), andiamo alla vera stella della pellicola, ovvero a Kim Basinger che anche a cinquant’anni suonati (ma era il duemilaquattro, cioè otto, augusti anni fa) non solo fa la sua porca, porchissima figura ma domina lo schermo con quella sua radianza offuscata da polvere e lacrime, con quel suo gelido tormento interiore e la sua catatonia dell’anima. Altra bella interpretazione è quella di Jon Foster, incredibilmente potente nel ritrarre le insicurezze e le tribolazioni di un ragazzo alla scoperta di sé stesso, della vita e del mondo, a cui s’accoppia quella, pure straordinaria, della piccola Elle Fanning (certo più dolce e talentuosa della sorella maggiore, prestatasi, in un attimo di sconforto e disperazione, a quella ignominiosa prostituzione attoriale chiamata Twilight). Insomma The Door in the Floor è un film che va visto per forza di cose, per la sua capacità di spiegare l’amore, la letteratura e la vita in maniera così essenziale e penetrante, per la sua bella (ma incompleta) cinematografia e per tutti quei suoi difetti che, in fin dei conti, ci si sente costretti a perdonare.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Per il genere “donna anziana/uomo giovine” c’è il supercult assoluto da Olimpo Harold e Maude (1971) di Hal Ashby, lo stupefacente The Reader (2008) di Stephen Daldry e il morbosissimo Womb (2010) di Benedek Fliegauf, che tra l’altro divide con The Door in The Floor l’ambientazione marittima e malinconica e il tema del lutto. Per la bizzarria del rapporto padre/figlia c’è La storia di Jack e Rose (2005) di Rebecca Miller. Quanto agli amanti della divina Basinger non possiamo che proporre l’immortale L.A. Confidential (1997) di Curtis Hanson e il leggendario, quantunque un po’ mediocre, 9 settimane e 1/2 (1986) di Adrian Lyne.


Scena cult – Marion, Eddie e Ruth in spiaggia. E, sul mare, la nebbia.

Canzone cult – Le canzoni sono tante e si va dal rap a Mozart. Quella che m’ha colpito di più è la volgarissima, sperticata My Neck,My Back della rapper Khia, protagonista di una scena che non so se definire più divertente o drammatica.

2 commenti:

  1. l'avevo sempre ignorato, questo film.
    magari ora lo recupererò...

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    Risposte
    1. Recuperalo, recuperalo. Non grandi emozioni o eroici furori ma, come minimo, ti innamorerai dell'East Hampton a fine estate e dello stile radical-chic di Jeff Bridges!

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